Il mio pensiero fondamentale è che la gente, per una legge di natura, si divide generalmente in due categorie: una inferiore (gli ordinari), ovvero per così dire, il materiale utile unicamente alla procreazione di qualcosa di simile a se stesso, e un'altra che è quella degli uomini, ovvero di coloro in possesso del dono o del talento di dire la loro parola nuova nell'ambiente. A questo punto si intende che le suddivisioni sono infinite, ma i tratti distintivi di entrambe le categorie sono abbastanza netti: la prima categoria, ovvero il materiale, parlando in termini generali consiste in persone per loro natura conservatrici, ammodo, che vivono nell'obbedienza e amano essere obbedienti. (...) Nella seconda categoria, invece, tutti violano la legge, sono dei distruttori, o sono inclini a esserlo, a seconda delle capacità. S'intende che i delitti di queste persone sono relativi, e dei più vari; perlopiù essi esigono, nelle forme più svariate, la distruzione del presente in nome di qualcosa di migliore. (...) La prima categoria è sempre signora del presente, la seconda categoria è signora del futuro.I primi conservano il mondo e l'accrescono numericamente, i secondi muovono il mondo e lo conducono verso una meta. Tanto questi che quelli hanno esattamente lo stesso diritto di esistere.
FËDOR DOSTOEVSKIJ - Delitto e castigo
venerdì, marzo 26, 2010
Leggi di natura
venerdì, febbraio 12, 2010
New skills for new jobs: action now!

....Continua su RENA......
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lunedì, febbraio 01, 2010
Ḥammām

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lunedì, gennaio 18, 2010
venerdì, gennaio 15, 2010
lunedì, gennaio 11, 2010
Porto di mare
Non avremo mai registrato "motivi di intolleranza" - ed è proprio tutto da dimostrare - ma una soluzione dove non esiste integrazione, dove non c'è un progetto di cittadinanza e appartenenza, dove la periferia diventa canale di spurgo di operazioni immobiliari sempre orientate al massimo profitto a prescindere dagli effetti sociali, economici e culturali. Dove si vive stipati, dove si continua a parlare di Noi e Loro, dove non c'è dialogo nè conoscenza reciproca, dove si vive come vicini ma senza capirsi, negando qualsiasi flebile legame di comune appartenenza - come se il territorio non creasse radici comuni! - non è una soluzione di cui andare orgogliosi. Io non la definirei neppure una soluzione. E' una scelta di comodo avvenuta abbastanza per caso, che andrà bene finchè la "babele" sarà socialmente disciplinata e geograficamente contenibile. L'alternativa sarebbe ammettere che forse c'è qualcosa che non va nella gestione degli spazi urbani e della socialità in questo bel porto di mare, l'alternativa sarebbe discuterne, aprire spazi di confronto, mettersi in discussione, non certo per il mea culpa personale ma per il bene comune, che è poi il ruolo e la missione di cui è investito qualsiasi eletto alla cosa pubblica.
Un pò dura? Dall'estero l'attaccamento alle origini si sa, si fa più forte. In fondo in fondo resta lo sconcerto per una notizia che non mi ha dato strumenti per capire. A me che in quel paese ci sono cresciuta, figurarsi a chi ci arriva per caso, come succede sempre, nei porti di mare....
PS: grazie a Francesca A, per aver fatto girare la notizia...
sabato, dicembre 12, 2009
lunedì, novembre 23, 2009
Mi sveglio col piede sinistro
Quello giusto
Forse Già lo sai che a volte la follia
Sembra l'unica via
Per la felicità
C'era una volta un ragazzo
chiamato pazzo
e diceva sto meglio in un pozzo
che su un piedistallo
Oggi indosso
la giacca dell'anno scorso
che così mi riconosco
ed esco
Dopo i fiori piantati
quelli raccolti
quelli regalati
quelli appassiti
Ho deciso
di perdermi nel mondo
anche se sprofondo
lascio che le cose
mi portino altrove
non importa dove
non importa dove
Io, un tempo era semplice
ma ho sprecato tutta l'energia
per il ritorno
Lascio le parole non dette
prendo tutta la cosmogonia
e la butto via
e mi ci butto anch'io
Sotto le coperte
che ci sono le bombe
è come un brutto sogno
che diventa realtà
Ho deciso
di perdermi nel mondo
anche se sprofondo
Applico alla vita
i puntini di sospensione
Che nell'incosciente
non c'è negazione
un ultimo sguardo
commosso all'arredamento
e chi si è visto, s'è visto
Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni
Lascio che le cose
mi portino altrove
altrove
altrove
Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni
domenica, novembre 22, 2009
Aggiungo stella a stella, sbucherò da qualche parte*

Le sue pagine sono infatti imbevute di estremo realismo anche nei passaggi più surreali, che nel Vagabondo delle stelle si trasformano in viaggi mentali nella galassia di vite anteriori, in fuga dal corpo e dalla realtà disumana di San Quentin. Eppure, nonostante l’apparente suggestione di paesaggi fantastici, il libro resta in ogni rigo uno strumento terreno - storico - un veicolo di denuncia sociale, per mettere i suoi contemporanei di fronte alle condizione carcerarie di un’America che si voleva civile e civilizzata.
Da lì il pensiero dell’eternità. La sensazione che in fondo l’uomo non fa che ripetere i propri gesti all’infinito, in un incessante e monotono ripetersi di errori e tentativi di catarsi travestiti da progresso. La passeggiata tra le stelle è una presa di coscienza, non la salvazione. Una coscienza intrisa di disillusione quella di London, che determinerà anche il corso – e la fine – della sua esistenza. In fondo, se Darrell Standing riesce nella tecnica di sgusciare via dal corpo per librarsi alla ricerca di precedenti vite, questo non serve a modificare il presente e renderlo più giusto – sarebbe stato banale, un sortilegio senza possibilità di immedesimazione - ma aiuta invece a liberarsi dalle barriere che gli impedivano di ricordare e - ottenuta la prova dell’eternità umana - non impazzire dal dolore. Del resto, a cosa serve condannarlo a morte se nessuno di noi può morire, se la sua sarà solo una “morte minore”, quella del corpo, mentre l’anima intatta cercherà nuove galassie dove atterrare?
Condanna anche questo London, che nella vita ha sperimentato di tutto, ma non si illude che l'aver scoperto la possibilità di viaggiare tra le stelle gli dia la chiave per sconfiggere l'ingiustizia. Lo dice bene il titolo, il suo è un vagabondaggio, un oblio che non porta salvezza, ma solo la scoperta di una maggiore consapevolezza. Che libera dalle frenesie del contingente e da un’umanità ipocrita e noiosa, incapace di redimersi nel ricordo delle sue precedenti edizioni.
*Battiato, Vite parallele
martedì, ottobre 06, 2009
domenica, settembre 06, 2009
Il viaggio dell'elefante
Foto: letiziajp © , Lisbona - agosto 2009
mercoledì, agosto 26, 2009
...Stava per andare a Lisbona ma non associava ancora il nome della città dove forse Billy Swan sarebbe morto con il titolo di una canzone che lui stesso aveva composto e nemmeno con quel luogo che a lungo aveva sbarrato alla sua memoria. Solo alcune ore dopo, all'aereoporto, quando vide Lisboa scritto a lettere luminose sul tabellone dei voli in partenza, ricordò quanto questa parola avesse significato per lui, tanto tempo prima, in un'altra vita, e capì che tutte le città dove aveva vissuto dopo aver lasciato San Sebastian erano i prolungati episodi di un viaggio che forse adesso avrebbe concluso: tutto quel tempo ad aspettare e fuggire, e nel giro di due ore sarebbe arrivato a Lisbona.
Antonio M. Molina - L'inverno a Lisbona
martedì, luglio 28, 2009
lunedì, luglio 06, 2009
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise
Black bird singing in the dead of night
Take these sunken eyes and learn to see
all your life
you were only waiting for this moment to be free
Blackbird fly,
Blackbird fly
Into the light of the dark black night.
Blackbird fly,
Blackbird fly
Into the light of the dark black night.
Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise,
You were only waiting for this moment to arise
You were only waiting for this moment to arise...
venerdì, luglio 03, 2009
L'Honduras nell'era dell'informazione di massa

Sottolineo il termine e sottolineo il fatto che prima di usarlo ci ho pensato. Mi sono documentata. Mi sono fatta un'opinione, che non deve quasi nulla - se non nelle sue sfumature più ciniche - alla stimatissima stampa nazionale. Ammetto di avere la fortuna dell'osservatore privilegiato, quello che ha vissuto abbastanza nel teatro dei fatti da poter contare su una buona memoria e su una rete di amicizie pronte a fotografare la realtà. Ma proprio per questo riesco ad aprire gli occhi sull'imprecisione, mancanza di senso critico e assenza di approfondimento con cui vengono confezionate le notizie oggigiorno. E mi limito solo alla stampa nazionale. Partiamo dal principio, la stampa italiana riporta la notizia: la Corte Suprema di Tegucigalpa ha ordinato ai militari di agire, deponendo

L’Honduras lo conoscono in pochi – 7 milioni di abitanti, povertà e violenza, caffè e banane, non ne fanno la meta più ambita del turismo mondiale – e capisco che tenere un corrispondente sul posto, in un momento in cui i fatti Iraniani (solo per citarne una) stanno mettendo a rischio il delicato equilibrio mediorientale, possa rappresentare per molta stampa un costo inutile. Ma possibile che nessun quotidiano si sia preso la

Bene, il popolo della rete questo racconta: la quarta urna voluta da Zelaya per il referendum popolare non avrebbe avuto l’effetto di “permettergli di candidarsi per un secondo mandato”, ma quello di consultare la popolazione sulla possibilità di una riforma costituzionale, più complessa e articolata della sola rielezione su cui si è concentrata tutta la stampa italiana. Anche se il referendum fosse andato in porto, la riforma della Costituzione non sarebbe stata avviata prima del 2010, cioè con già un nuovo presidente in carica (le elezioni sono previste per novembre 2009). L’anomalia che si voleva riformare – eredità della repressione militare degli anni 80, quando il paese veniva utilizzato dagli USA come base di appoggio per le operazioni antiguerriglia

Miguel Zelaya non è un martire del regime. Delle promesse fatte in campagna elettorale molte sono rimaste nella sfera dei buoni propositi e sembra che negli ultimi tempi il consenso popolare nei suoi confronti fosse in netto calo. Anche avesse puntato alla rielezione, non avrebbe potuto condidarsi prima del 2013, correndo ad armi pari con altri precedenti presidenti rimessi

Ma non è questo il punto. Il governo golpista non durerà a lungo, stretto tra le pressioni popolari e l’isolamento internazionale. Il punto è che nessun giornale degno di questo nome ha riportato i fatti ragionandoci sopra, cercando risposte, investigando su più fonti. In sostanza, facendo quello che ci si aspetta faccia il giornalismo: spiegare la realtà. Non semplificarla, appiattendola sulla ripetizione ossessiva di passaparola vuoti di significato e valore.
Questi sono i fatti come me li hanno riportati testimoni diretti come Carlos Penalver o come COFADEH, Sergio Fernando Bahr Caballero, Luisa Cruz, Alerta Libre e tanti altri che in questi giorni ho seguito su Facebook o sentito via e-mail e che raccontano di giovani nei quartieri poveri reclutati a forza dai militari, repressioni violente, televisioni chiuse, giornali e siti web oscurati. Mi chiedo quale sarebbe stata la mia opinione se non avessi avuto un canale diretto con l’Honduras. Mi chiedo quante volte ho avuto la

lunedì, giugno 29, 2009
L'Eurotunnel, dove ci porterà

Sarà che ho passato gli ultimi quattro mesi immersa in strade e discorsi e documenti che sudano retorica europeista. Saranno gli effetti della crisi finanziaria che ha colpito duro nel cuore della city. Oppure il dispetto per la capacità targata UK di venderci l'inglese come lingua franca, il latte nel thè e la MIFiD, per poi utilizzare immancabilmente il trucchetto dell'opting-out ogni volta
Se la pluralità di espressioni è la ricchezza della democrazia, l'assortimento euroscettico-nazionalista degli alleati dei Tory nel nuovo gruppo solleva forti dubbi sui vantaggi del caso. Di certo non migliora i rapporti già tesi tra Londra e Bruxelles, nonostante l'Eurostar costi cosi poco e il viaggio duri in fondo solo due ore. Chissà come si sarebbe espresso il corrispondente di guerra e primo ministro britannico (1940 - 1945 e 1951-1955) Wiston Churchill, uno dei primi ad invocare la costruzione degli Stati Uniti d'Europa, unica soluzione che "in pochi anni renderebbe tutta l’Europa .... libera e.... felice."
Sulla via del ritorno St-Pancras-Bruxelles, piena delle emozioni di un concerto storico e della variegata umanità di Camden Town, mi sono venuti in mente i latinoamericani, che ogni volta che li incontri in giro per il mondo e gli chiedi da dove vengono, la prima risposta - quella istintiva, quella di pancia - non è quasi mai Messicano, Boliviano o Peruviano, ma quasi sempre, indiscutibilmente, latinoamericanos. Gli Argentini fanno in genere eccezione, ma questa è una storia che ho già raccontato tempo fa.
Fonte foto: Londra, Hyde Park, giugno 2009 letiziajp ©
lunedì, giugno 22, 2009
3 - NOTTE
ubriacano il crepuscolo
di vivaci interruzioni
Evaporano i contorni
di ciò che resta del giorno
Attutiti i passi
Sapiente distacco
scompone il pensiero
Lo rifonde
Mentre brezze leggere
trasportano odori
Intuizioni
come radici e foglie
Vaga lo sguardo
La terra suda
il calore del giorno
Insetti distratti
dipingono inattese geometrie
Sapori agrodolci
Animali selvatici
che la coltre lunare risveglia
Richiamo di specchi d’acqua
Cristallina clandestinità
Echeggia un piacere
sussurrato alle soglie del buio
Puntini fluorescenti
Città disseminate
bucano di vita
l’abbraccio oscuro
tra terra e cielo
venerdì, giugno 19, 2009
2 - MERIGGIO
Assenza di pensieri
Riluce l’essenza a brandelli
Stanche le membra stanche
Sopiti gli istinti
di attiva ribellione
Sguardi allungano l'orizzonte
come allucinazione
Bruciore scomposto
invade i sensi
Li disperde
Asseconda l’istinto
una malata apatia
L’intorno agli occhi è vuoto
Immobilizza i desideri
li sfuma
Anestetizzati dall’ansia del vivere
Analizzati alla luce di esotiche patologie
Ricadere esausti
La volontà perduta
Setacciata in granelli di tempo
rincorrendo l’ombra
di una fugace immortalità
Attendere il cambiamento
Ore più tiepide
Bramata frescura
L’azione riscopre
nell’istante
il nucleo arancio
del suo ardore
giovedì, giugno 18, 2009
1 - RISVEGLI
Interrotti dallo svolgersi limpido
di brina
Gocce lente rotonde
Scivola il respiro
dall’ansia del risveglio
Battito di ciglia
Immagini
di un tempo interiore
sfuggono l’informe
Riconquista di geometrie conosciute
Incresparsi impreciso
di labbra sottili
Carne
è il sapore pulito dell’alba
Scivola il corpo
l’anima torna sopita
Lascia il battito
il ritmo consueto del vivere
La notte risponde a melodie
che accendono luci dopo il tramonto
Tra le crepe confuse di un sogno
una nostalgia interrompe la quiete
La trasforma
Pieghe tra le lenzuola tiepide
tra la pelle
Muscoli riassaporano la vita
dopo la distrazione dell’incontro
Nell’attimo esatto di un movimento
sospinta con forza
oltre distanze e finiti contorni
Ogni estremità
beve avida
il presente antico
del nuovo giorno
mercoledì, maggio 27, 2009
Non disprezzare il poco, il meno, il non abbastanza
L’umile, il non visto, il fioco, il silenzioso
Perché quando saranno passati amori e battaglie
Nell’ultimo camminare, nella spoglia stanzaNon resteranno il fuoco e il sublime, il trionfo e la fanfara
Ma braci, un sorso d’acqua, una parola sussurrata, una nota
Il poco, il meno il non abbastanza
Stefano Benni
domenica, maggio 24, 2009
Cosa sto facendo nel frattempo (7 marzo 2009 - ....)
Metabolizzare: 2 (fig.) assorbire trasformando in qualcosa di compatibile con sé; assimilare, digerire: es. gli americani sono in grado di metabolizzare gli apporti culturali più diversi.
Sull'esempio portato dal sign. Garzanti avrei qualche dubbio, ma quello che conta in questa sede è che la definizione mi calza a pennello. Per cui, fedelissimi lettori, portate pazienza. Non ho il blocco dello scrittore, niente apatie, nè viaggi intorno al mondo (sic!). Sto semplicemente sperimentando il complesso delle trasformazioni di natura chimica che avvengono negli organismi viventi e attraverso le quali essi si conservano e si rinnovano...
Fonte foto: letiziajp ©
lunedì, marzo 02, 2009
L'evoluzione impercettibile dei cambiamenti
Non si tratta solo di questioni economiche, non è una moneta comune che ci fa essere parte dell’insieme, è piuttosto una coscienza storica, una nostalgia per elementi che accomunano piuttosto che dividere. Nei dibattiti del Parlamento Europeo, negli incontri tra Commissione e Società Civile, nelle manifestazioni per la pace, negli scontri tra immigrati e nei poveri che affollano la Stazione Nord alla ricerca di un posto caldo e di un arrivo definitivo, in tutto questo c’è qualcosa che mi riguarda, che ci riguarda tutti e ci trascina a forza al di fuori dei nostri singoli rassicuranti confini. E’ l’inevitabilità di un destino comune, nato per evitare una volta per tutte gli orrori di una nuova guerra e cresciuto grazie alla convinzione di chi ha creduto nel potere creativo della collaborazione e della fiducia reciproca. La fluttuazione dei prezzi nei mercati francesi, i disastri naturali spagnoli o italiani, la politica agricola tedesca, tutto ciò avrà delle ripercussioni in ogni singolo stato membro, impossibile poter pensare ancora di vivere in territori a compartimenti stagno.
Ma l’importanza di quest’appartenenza comune è visibile solo dal di fuori, quanti in Italia percepiscono il loro essere europei, quanti ci credono, quanti conoscono i loro diritti, i loro doveri, le loro possibilità al di fuori e all’interno dell’Italia stessa? Le vicende politiche nazionali si fanno sempre più sconcertanti, gli interessi dei singoli hanno la meglio sul benessere della collettività, il sistema scolastico sta implodendo sotto i colpi di una riforma caotica che insegue modelli esteri vincenti, i prezzi aumentano, le contestazioni meschine tra partiti accrescono la sfiducia nel potere di un voto e di un ideale. Questa è l’Italia vista dall’esterno, questa è l’Italia dipinta dai giornali stranieri, derisa nelle conversazioni tra colleghi in un ufficio qualunque di Bruxelles, l’Italia che non riesco a difendere, che non riesco a giustificare.
Eppure non posso che credere che le cose cambieranno, devono cambiare, il cammino verso una identità europea non può che essere inevitabile. Una identità che non si basi solo sui proventi economici di un mercato comune, libero e senza barriere, né solo su strategie di difesa militare contro una minaccia esterna da cui difendersi. La base di tutto va ricercata nell’apertura mentale verso tutto ciò che è diverso da noi stessi, nella predisposizione all’ascolto, nel contributo costante per rendere la nostra società un posto migliore da abitare. E’ il principio democratico che si fa spazio tra le pieghe dei particolarismi nazionali e degli interessi individuali e sul quale bisogna partire per costruire il paese Europa. Democrazia che non è solo l’espressione di un diritto di voto ma anche il dovere di costruirsi sempre un’opinione, invece di trincerarsi dietro un velo di cieca indifferenza per ciò che ci accade intorno. Inutile lamentarsi che le cose non funzionano se poi non si propone un’idea per cambiarle, un’alternativa da cui ricominciare.
Siamo ancora in tempo per far si che la società in cui ci ritroveremo a vivere tra due, cinque, dieci anni, sia il frutto di un cammino liberamente scelto e intrapreso e non piuttosto il risultato casuale della nostra inerzia intellettuale.
(Leti appunti - Bruxelles, luglio 2003)
domenica, febbraio 08, 2009
Sistema dis-incentivante
giovedì, gennaio 22, 2009
Come Ulisse a Itaca, iniziò il 2009...
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito
e della vita il doloroso amore.Ulisse, Umberto Saba
giovedì, dicembre 18, 2008
Anche bancariamente parlando

venerdì, dicembre 05, 2008
martedì, dicembre 02, 2008
Controluci di Natale
Eppure qualche cambiamento c'è stato. Le crisi finanziarie sono le più subdole, le uniche in grado di innescare in pochissimo tempo una diffusione sistemica di malanni e crepe. Per questo non c'è da stupirsi se il primo campanello di allarme per il Messico non sia da ricercare nei bilanci delle banche, ma nei dati demografici. Negli ultimi sei mesi i flussi migratori si sono invertiti. Nonostante le traversie affrontate per passare in terra statunitense, la gente - soprattutto quella in possesso di visto - ritorna a casa. E non certo per festeggiare il Natale. La crisi dell'economia reale americana ha aperto le porte allo spettro della disoccupazione anche e soprattutto per gli immigrati latini, che fino ad oggi con le loro rimesse hanno contribuito sostanzialmente alla crescita del Pil dei rispettivi paesi di origine. L'impossibilità di mantenersi nella terra del fast food e generare al tempo stesso un reddito sufficiente per inviare risparmi a casa li ha convinti ad intraprendere la strada all'inverso. Un dato preoccupante per il Messico, per cui le rimesse negli ultimi anni hanno rappresentato la seconda entrata del paese, dopo il petrolio.
Fonte foto: Messico, novembre 2008 letiziajp ©
giovedì, novembre 13, 2008
L'epoca delle passioni tristi

martedì, novembre 11, 2008
Cartoline per Natale

sabato, novembre 01, 2008
Relativamente, a volte
Non esserci più lavoro in Italia per me...come glielo spiego che il mio lavoro in Italia prevede proprio che io me ne vada in giro per l'America Latina, che il mio viaggio non è imposto, come il suo, che in India ci ha lasciato genitori e un figlio e la prospettiva di rivederli è tra due anni perchè il volo da qui a là costa una fortuna? Ho pensato di spiegarglielo ma poi ci siamo guardate, lì sulle scale, con il passo di entrambe già per metà altrove. La libertà è un concetto relativo e io non ho trovato le parole.
venerdì, ottobre 31, 2008
Società Aperta

L’altra sera il programma era incentrato sul rapporto tra Chiesa e Islam alla vigilia dell'apertura del Forum cattolico musulmano. Dopo un primo tumulto iniziale di noi e voi, Samir Khalil Samir docente all'Università Saint Joseph, in collegamento da Beirut, ha preso timidamente la parola con un commento che non m’aspettavo. Non cito testualmente, ma suonava più o meno cosi: “voi italiani dovreste smetterla di discutere se togliere o meno il crocifisso, fare o meno il presepe, ammettere o meno il velo nelle scuole. Avete le vostre leggi, fate in modo che siano uguali per tutti e non smontabili caso per caso a seconda degli influssi esterni. Dovreste prima di tutto essere orgogliosi della vostra cultura e coerenti con essa. Le altre culture dovrebbero servire per arricchirvi non per creare confusione sociale”. Ovvero, non possiamo essere dei mediatori culturali, se non abbiamo chiaramente presente qual è la nostra identità, come possiamo dialogare con gli altri? Mi sento di condividere, al di là di qualsiasi convinzione velatamente buonista. Il punto è proprio qui, nel corpo molle dell’identità italiana.
Mi viene in mente un libro di Sartori che ho letto tempo fa, intitolato Pluralismo, Multiculturalismo ed estranei. Partiva dalla domanda “posto che una buona società non deve essere chiusa, quanto aperta può essere una società aperta?”. Secondo Sartori la società aperta coincide con una società pluralistica – contrapposta a quella multiculturale perché fondata sulla tolleranza e non sulla differenziazione a tutti i costi - una comunità nella quale i diversi e le loro diversità si rispettano e si fanno concessioni reciproche. Rendere cittadino chi si prende i beni-diritti soggettivi, ma non si sente tenuto in cambio a contribuire alla loro produzione, è creare un cittadino “differenziato” che rischia di balcanizzare la città pluralistica. Il che equivale a dire che “il muticulturalismo crea identità rafforzate…configurando lo spezzettamento della comunità pluralistica in sottoinsiemi di comunità chiuse e disomogenee”. Il saggio di Sartori è complesso, ma il pensiero di fondo è che l’armonia di una società pluralistica sta nell’accettare la diversità che vive in essa, senza voler omogeneizzare in nome di un illuminato melting pot. Perché se nell’accettazione di culture “altre” non c’è reciprocità - ma piuttosto rifiuto della nostra – il gioco non è a somma zero. Essere tolleranti non vuol dire negare se stessi, perché la tolleranza non esalta l’altro e l’alterità: li accetta…Nell’essere tolleranti verso gli altri ci aspettiamo a nostra volta di essere tollerati. Purtroppo per la nostra società, che si vuole multiculturale, non sempre funziona cosi.
mercoledì, ottobre 29, 2008
appunti calligrafici
Il vento sfogliava le pagine spesse di un giornale locale, con colori lucidi tra le dita callose dell’uomo di fronte, sgualciti come parole sbavate. C’era calma, nonostante il rumore del traffico di sottofondo. Sbattere di posate appena lucidate, tintinnio di bicchieri, pochi avventori data l’ora e un silenzio ispessito da conversazioni sussurrate a metà. La semplicità di una farfalla che svolazzava tra i fiori di un cespuglio curato da poco, l’odore di erba giovane tosata, di escrementi di cani sciolti, di margherite gialle inclinate storte verso un sole finalmente primaverile. Si nasconde una qualche consapevolezza dietro l’accortezza di mani che avvicinano la tazza fumante al viso, sorseggiando piano un caffè da due lire? Vita semplice, in assenza di metafore, l’ombra di un moscerino che incide un solco breve sulla pagina che stava scrivendo, come il viaggio di un aeroplano, una traccia o un cammino. Notò che non aveva più nulla da dire. Forse le parole sarebbero uscite sotto altra forma, come la coscienza che argina il flusso per non lasciarsi sopraffare dal vuoto, per navigare nell’unico tratto di mare calmo, il silenzio. L’unica regola da seguire sarebbe comunque stata la rigorosità, l’accortezza nella descrizione dell’esistenza umana, che esclude la banalità da ogni riflessione. L’inutilità di alcune osservazioni ti lasciano inerte. Voleva in fondo quello che tutti vogliono, sentirsi conforme con le pieghe quotidiane dell’esistenza. Intanto i bambini di strada - figli delle strade di Baires dal 2002 - trascinavano la loro povertà tra i tavoli, mentre gli avventori di mezzogiorno continuavano le loro conversazioni indispensabili e urgenti, come se la vita non fosse di fatto solo un perpetuo altrove.
lunedì, ottobre 27, 2008
Terra, lavoro e capitale interest free

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