lunedì, dicembre 24, 2007

Alla vita, che non finisce mai

Mi porto dietro quest'immagine dell'infanzia, dove i mesi sono ordinatamente divisi in due file parallele, a sinistra gennaio-giugno, a destra luglio-dicembre. E' chiaro quindi che questa parte dell'anno la vedo da sempre come la coda del calendario, il mozzicone andato che fuma ricordi dai camini delle case agghindate a festa. E questi ultimi giorni...una tasca, un limbo scuro e caldo dove mi rifugio crogiolando ciò che è stato, per allontanare ancora un poco il pensiero della macchina che si rimette in moto verso le strisce dritte delle mie due parallele. Da qui, il miglior augurio che mi sento di poter fare è che la vita vi sia lieve e che voi siate tra quelli capaci di stupire l'universo...

La vita è grande. Rovina e fortuna, patimento e gioia, schiavitù e affrancamento, rotolano e si cozzano tra loro su un tavolo talmente vasto, in un gioco cosi complicato, che solo un pazzo può pensare di poterlo governare per intero e per sempre, per se stesso e per gli altri. Naturalmente i pazzi in questa natura abbondano. Capita addirittura che alcuni di loro invece di passare per quello che sono, per pazzi scatenati, godano momentaneamente fama di persone avvedute, sapienti oltre ogni limite sopra il proprio e l'altrui destino, dotati di provvidenziali capacità e poteri. Costoro se la spassano da signori per un pò di tempo, fino a quando la vita, la tragica grande storia delal vita, si incarica di svelare l'obbrobrio della loro follia. Chi l'avrebbe mai detto, lamentano sconcertati i loro seguaci ed estimatori. Già, chi l'avrebbe mai detto. Il fatto è che la vita non finisce mai, il suo orizzonte è oltre l'ultimo orizzonte visibile. Il fatto è che lo sguardo, anche il più acuto, è sempre meno lungo di quanto faccia piacere crederlo. E per fortuna che è cosi, altrimenti gli umani sarebbero già finiti da un bel pezzo; malamente, miseramente, prevedibilmente finiti. E invece, dopo tante sventure e disastri, sono ancora lì a stupire l'universo. (Maurizio Maggiani, La Regina Disadorna)

mercoledì, dicembre 19, 2007

Oltre quale confine

Cosa vi viene in mente se dico "immigrato"?
Forse dipende dalla vostra età, dal ceto sociale, da quante storie hanno avuto la possibilità di raccontarvi i vostri i nonni nelle sere d'inverno davanti al fuoco. O forse dipende dal vostro vicino di casa e dalla vostra professione, se lavorate in posta o in un cantiere, al bar o all'ultimo piano di un edificio commerciale. Se dovessi dirvi io, la prima immagine che mi sale agli occhi sono gli spot delle banche all'avanguardia, la western union, il mercato del sabato a Brescia, l'odore di spezie e peperoncino sul pianerottolo di casa, i miei vicini indiani, lo scoramento delle maestre per la percentuale di bambini che arriva a metà anno senza parlare una parola di italiano e il terrorismo mediatico della stampa nostrana, sempre pronta ad usare le parole in maniera a dir poco strumentale (come se ci fosse differenza tra un rapinatore "rumeno" e uno italiano).
Ma questa è la mia contemporaneità, l'immigrazione che ho vissuto per interposta persona, vedendomela pasare accanto ogni giorno, per strada, in TV, nelle nuove strategie di marketing aziendale. Ma qui dovrebbe intervenire la memoria (storica), per ricordare anche il passato che non abbiamo vissuto, per rendere più relativa l'esistenza e più morbido il nostro atteggiamento nei confronti degli altri. E' un pensiero banale, ma viste le grida popolari alla "emergenza immigrati" non poi cosi scontata...me l'ha fatto venire in mente il romanzo di gioventù di John Fante, l'unica opera scritta in terza persona, quasi a prendere un certo distacco da una storia pur tutta autobiografica, quasi a guardare dall'esterno quel bambino spaurito che era, impegnato ogni giorno contro le sue origini italiane in un'America ostile del primo novecento. "Si chiamava Svevo Bandini e abitava in quella strada, tre isolati più avanti. Aveva freddo e le scarpe sfondate. Quella mattina le aveva rattoppate con dei pezzi di cartone di una scatola di pasta. Pasta che non era stata pagata. Detestava la neve. Faceva il muratore e la neve gelava la calce tra i mattoni che posava. Anche da ragazzo, in Italia, in Abruzzo, detestava la neve...Era cosi povero, con tre figli a carico, e non aveva neppure pagato la pasta, per non parlare della casa che ospitava figli e pasta." E il figlio di Svevo, , l'alter-ego indiscusso di J. Fante sempiterno protagonista di ogni sua storia"di nome faceva Arturo, ma avrebbe preferito chiamarsi John. Di cognome faceva Bandini ma lui avrebbe preferito chiamarsi Jones. Suo padre e sua madre erano italiani ma lui avrebbe preferito essere americano. Suo padre faceva il mutratore, ma lui avrebbe preferito diventare il lanciatore dei Chicago Cubs". (John Fante - Aspetta Primavera, Bandini - 1938)

martedì, dicembre 11, 2007

E il Dirigibile...torna a volare (by I.R.)

10 dicembre 2007, per ricordare Ahmet Ertegun, mitico fondatore dell’etichetta Atlantic Records, e loro caro amico e scopritore, Robert Plant, Jimmy Page e Jonh Paul Jones decidono di riaccendere i motori del dirigibile per riportarlo in volo ancora una volta, dopo che si erano tragicamente spenti il 25 settembre 1980 con la morte del batterista Jonh “Bonzo” Bonham. Oggi al suo posto è stato chiamato il figlio Jason, 41 anni, cresciuto come in una famiglia all’interno della più grande Rock band di tutti I tempi. Chi ha potuto assistere all’evento (…ed io purtroppo non ero tra questi), parla di una emozione crescente quando alle 21.00 in punto si sono accesi gli amplificatori, ed i cuori di milioni di fan, sulle note di “Good times bad times”, canzone datata 1969 e prima traccia del primo disco dei Led Zeppelin, quasi si volessi ricominciare da là, dall’inizio di tutto. La scaletta ha poi toccato tutte le tappe della storia del Rock segnate da canzoni degli Zeppelin come “Black Dog”, “Dazed and Confused”, “Stairway to heaven” fino a “Whole lotta love”. Dalle poche immagini passate alla TV, spiccano i cenerei lunghi capelli di Page, ed una diffusa calvizie tra il pubblico presente, segno del tempo che è passato da quei favolosi anni settanta, che rimangono però sempre vivi nei cuori, e pronti a riaccendersi sulle note emozionanti di una canzone.

Autore articolo: Ivan R. (U.T.L'U.R.)

giovedì, dicembre 06, 2007

"Gindobre" Polonia

Ho letto prima di partire che la Polonia ha almeno due primati: è il paese più esteso dell'Europa dell'Est, ma è anche il paese con il più alto tasso di povertà in Europa. Ad avermelo chiesto avrei detto "Romania", che adesso va cosi tanto di moda nei banchetti sensazionalistici della stampa nostrana. E invece no. Polonia.
Va anche precisato che, in un ordine inverso rispetto al nostro comune sentire, è il Nord del paese ad essere più disastrato, mentre il Sud gode dei benefici della crescita economica che quest'anno corre a ritmi del 5%.
Le strade a sud non sono tanto ben messe, ma le città, soprattutto Cracovia - la capitale culturale - conservano una dignità quasi maestosa, con quella piazza che si apre cosi, all'improvviso, perdendosi nell'ampiezza di un perimetro quasi vuoto e che per questo dà l'impressione di essere immenso.
Quelli che incontriamo parlano poco di politica, ma sembrano tutti sollevati dall'esito delle recenti elezioni, che hanno visto uscire dalla scena almeno uno dei gemelli accentratori. L'Europa è già dentro le frontiere polacche, una cosa già scontata ma non risolta, c'è la sensazione che finché non ci sarà una moneta unica e finché la libera circolazione dei lavoratori non sarà effettiva in tutti i paesi, i polacchi sentiranno ancora un piede ancorato alla vicina Russia, silenziosa ma onnipresente.
La religiosità permea la società polacca e le sue architetture, fatte di chiese imponenti e di chiese piccole, croci e cimiteri di campagna, tutti legati ad un solo nome, una figura che stringe eternamente la gioventù di Carol Wojtyla alla fede della sua gente, che ovunque lo acclama "santo subito".
Ma anche uscendo da Cracovia la sensazione non cambia, quel primato di povertà devo cercarlo ma a stento ne vedo i contorni. Sarà forse per la neve - che è caduta copiosa sui nostri brevi cinque giorni di permanenza polacca - che attutisce tutto vestendo di un elegante bianco composto anche i grigiumi più ostinati. Sarà il calore generoso di tutti quelli che ci hanno ospitato pur senza averci mai visto, aprendo la porta di case, agriturismi, uffici, come fosse un cortile privato dove accogliere amici lontani.
Oppure sarà ancora l'emozione di un nuovo viaggio - altra tappa nel cammino verso il centro della mia casa - però io faccio ancora fatica a capire il perché di questo "tasso di povertà più alto d'Europa".
E' stato un viaggio troppo veloce, intenso, dove il Nord dimenticato di cui si parla in tanti studi sul Paese è passato troppo al di sopra di noi, distante...forse le mie risposte sono li, e mi toccherà tornare....

PS: "Gindobre" vuol dire Buongiorno e ovviamente non si scrive cosi, ma l'importante è la pronuncia no??

Polonia 28 novembre - 2 dicembre

Foto: letiziajp ©