domenica, settembre 06, 2009

Il viaggio dell'elefante

Si narra che durante il regno di Dom João III, detto Il Pio, quindicesimo reggente del Portogallo e dell'Algarve, un elefante asiatico - frutto delle colonie e per due anni parcheggiato a Belem - fu offerto in dono a Massimiliano d'Austria, potente Imperatore del Sacro Romano Impero, nonchè apparentato col lusitano reggente. Correva l'anno 1551 e l'epico elefante, chiamato Salomone, si trovò a percorrere mezza Europa sorretto solo da quattro pachidermiche zampe, per assecondare, nel silenzio composto di chi non ha voce, capricci reali e assurde strategie. Strane logiche segue la storia: delle corti e dei reggenti sono pieni i libri, mentre delle sorti del prode Salomone non è rimasta traccia, se non nella sapiente penna di Saramago José (A viagem do elefante - Alfaguara Editore). Il mio primo pensiero appena atterrata a Lisbona, dopo due ore e trenta di volo, è corso a Salomone e a quanto piovosa e grigia deve essergli sembrata Vienna al confronto del riflesso abbagliante della capitale Portoghese, con tutti i suoi più antichi edifici in mostra al margine del Rio Tejo, ispiratore silente di tante fortunate scoperte, quando ancora il mondo era fatto per farsi scoprire. Spesso la storia fa tabula rasa, nel caso di Lisbona è come se i pezzi fossero rimasti tutti li, a disposizione del conquistatore di turno, per tener buona la forma e cambiarne a piacimento il contenuto. Costruita sugli strati sovrapposti di fenici e romani, mori e cristiani, spagnoli e rifugiati coloniali, l'antica Olissipo oggi punta i piedi su pietre sacre - pietre dure - che devastanti terremoti hanno più volte rimescolato e amalgamato con la terra, tanto che da nessuno dei suoi sette colli è oggi possibile afferrare la città nel suo insieme. Il confine è mobile, circoscritto nei diversi quartieri, come nei disegni esperti dei più celebri azulejos . Tra tanta geografia racchiusa in così angusti spazi, io non ho dubbi, chiudo gli occhi e scelgo, Alfahama. Quartiere arabo che sa d'Europa, losco di notte, una miscela di sardine alla griglia, panni stesi, vicoli stretti di sassi e scale, dove i colori si stemperano nel bianco scrostato dei muri e il vento ti investe all'improvviso, in un angolo a caso, giù verso le Avenidas ampie del porto e le braccia aperte al cielo del Cristo gemello di Rio. Lisbona, anche lei porto di mare, dove lo sguardo si impiglia ovunque ma sempre trova una via di fuga nell'orizzonte. Barcellona mi era sembrata sporca, Lisbona decadente, è diverso. Dove là i vicoli del porto sembravano unti, qui anche i palazzi sventrati hanno dietro pezzi di cielo, a rivestire una perdizione dignitosa, consapevole che l'umanità che passa aggiunge, grazie a quell'inconsapevole dote che fa del diverso un'opportunità di creazione. Guardata da Bruxelles, Lisbona appare ancora oggi periferia d'Europa. Neutrale nelle guerre, ambigua nelle alleanze, disciplinata nelle rivoluzioni. E' proprio questione di prospettive. Ho passato cinque intensissimi giorni con lo sguardo infilato tra la Lonely Planet e il paesaggio intorno e, passo dopo passo, cresceva la sensazione che per capire Lisbona bisognasse guardare in senso oppostp al continente. Il mare aperto, quell'orizzonte perso nella mancanza di appigli, la promessa di terre gemelle, l'attrazione per lontananze segrete. Non fanalino di coda ma avamposto a ovest, questa è Lisbona, che ha dalla sua quell'inesauribile vista che si perde in mare, libera dalle logiche ristrette di ogni confine. Certo, la libertà non si compra ad etti e raramente è gratis. E' più facile ricordarsi il nome del paese scoperto piuttosto che quello dell'ardito scopritore. E così Vasco de Gama si scolora tra il bianco della pietra e i volti attenti dei suoi marinai, congelato e anonimo ai bordi della caravella di pietra di Belem. Mentre Joao I, ispiratore celebrato delle scoperte africane e antenato di quel III che per un frivolo vezzo mandò all'esilio Salomone, deve accontentarsi di fungere da triste bersaglio per piccioni e graffitari, in attesa che in Praca da Figueira torni l'ordine e la pulizia. La memoria dell'uomo, si sa, è cosa corta, ma non tutto si perde. In fondo, del passato di Lisbona resta il mosaico dei suoi antenati, un vuoto che dà un senso alla saudade e che il fado - musica popolare portoghese dalle origini meticce - canta ancora come un comune destino. Che fai lì, Lisbona, con gli occhi puntati al fiume, Gli occhi non sono ormeggi per ancorare la nave... Del resto è proprio questo che intendeva Pessoa, rincorso per tutta la vita da quella serpeggiante inquietudine. Non sai mai cosa ti aspetta dall'altra sponda di un viaggio. Ho scoperto che molti alberghi del Tirolo e dell’Austria sono davvero intitolati all’Elefante e a Trento un ricercatore, impiegato nella Biblioteca comunale, ha recentemente pubblicato un racconto sul passaggio per la città del corteo di Massimiliano d’Asburgo e Maria di Spagna. Titolo: “Suleyman l’elefante: un barrito in Contrada Larga”. Ha ragione Saramago, siempre acabamos llegando adonde nos esperan.

Foto: letiziajp © , Lisbona - agosto 2009