martedì, maggio 27, 2008

Capitale giovane under 35

E' uscito il rapporto del Cerved sull' imprenditoria giovanile nell'industria. Non ho ben capito se si tratti di dati incoraggianti, ma una cosa pare tuttavia certa: nel sottobosco mediatico dei bamboccioni, raccomandati, sbandati e figli-di-papà emerge chiaro il segno di un'Italia under 35 che si vuole combattiva, pronta a lanciarsi - con più successo di quanto si pensi - nei mari gonfi dell'economia mondiale. Si sente molto - troppo - parlare di un PIL in frenata, di competizione cinese e smarrimento imprenditoriale. Ma di fatto poco o nulla si dice in Italia delle imprese create dai giovani. Eppure ci sono, sono in crescita costante, nel segno del made-in-Italy ma non solo: sono sempre di più i giovani imprenditori stranieri residenti nel nostro paese. Il Cerved in questo senso viene a colmare una lacuna, mostrando il lato buono del vecchio stivale. Quello che si rifiuta di pensare che un piccolo PIL equivalga solo ad enormi preoccupazioni. Quello che ci spinge ad abbassare lo sguardo, a guardare la realtà da vicino e convincerci che ovunque si lasci spazio a creatività e fiducia ci sono possibilità di crescita e futuro. Anche su barchette modeste, ma dall'alto potenziale di navigazione in alto mare. Lo dimostrano i dati, anche al Sud, dove nascono cronicamente poche imprese ma tra queste vi è un contributo dei giovani maggiore che nel resto d'Italia. E allora perché non accompagnarli questi giovani? Invece che con spintarelle e balzani sgravi fiscali basterebbero passetti semplici, quasi ovvi. Tipo maggiore accesso al credito, che permetta non solo un efficace start-up - sarebbe già molto...- ma anche un potenziamento del capitale quando arriva il momento di fare il salto, di dimensione e di qualità. Tipo l'offerta di strumenti effettivi che spingano ad investire nelle aziende più virtuose, non solo da parte delle banche (venture capital, business angels...già il fatto che siano in inglese disincentiva a partecipare?) . Sembra che le banche italiane in quanto a innovazione nel settore rimangano stitiche, ancora poco propense a credere nei giovani e nelle buone idee. Avessero avuto la stessa prudenza nell'avvicinarsi - e far avvicinare ...- ai fatidici strumenti di finanza creativa, pane quotidiano dei nostri giorni....ma questa è un'altra storia. O no?

Per approfondire: Cerved BI e Sole 24 Ore
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venerdì, maggio 23, 2008

Il cuore sul Denali

In passato hanno compiuto imprese scalando varie vette in tutto il mondo: Imsa Tse (Nepal) - 6.189 m, Elibrus (Caucaso Russo) - 5.642 m, Licancabur (Cile/Bolivia) - 5.920 m, Aconcagua (Argentina) - 6.961 m, Kilimangiaro (Tanzania) - 5.895 m.
Quest'anno hanno scelto il Mount McKinley in Alaska, conosciuto anche come Monte Denali alto 6.194 m. Il McKinley è la montagna più alta di tutto il continente nordamericano e, vista la vicinanza con il Polo Nord, è anche uno di luoghi più freddi al mondo, spazzata da venti gelidi che portano la temperatura anche a 35 gradi sotto zero. La fase di acclimatamento prevede numerose salite e ridiscese ai campi alti che si trovano a 5.200 metri. Da lì partiranno, l'ultimo giorno, per la vetta. La discesa sarà affrontata con gli sci. Questo permetterà loro di ridurre i tempi del ritorno alla base della montagna. Tutta l'impresa verrà affrontata in totale autonomia senza l'aiuto di guide o portatori nel pieno rispetto dell'ambiente.
A qualcuno potrà venire in mente chi sono questi pazzi e chi glielo fa fare di passare tre settimane delle loro ferie in uno dei posti più impervi del mondo....io mi sono fatta l'idea che non ci vuole coraggio ma un'immensa passione e che quando guarderanno giù, dopo aver patito e faticato per raggiungere l'ennesimo tetto del mondo, il loro sguardo si poserà lontano e il loro Io per un lunghissimo minuto si sentirà una piccola parte del tutto. E saranno forti e vivi, come non mai.
Potrei invidiarli, ma non lo faccio, perchè quella sensazione che non ho vissuto mi accompagnerà per i prossimi venti giorni, quando anche il mio cuore sarà lassù, con Ivan, sulla cima del Denali.

martedì, maggio 13, 2008

Honduras: ogni tanto se ne sente parlare...

"Chissà come si può fare per accendere un po’ di luce sulla lotta della magistratura dell’Honduras, da 35 giorni in sciopero della fame contro la corruzione nel paese centroamericano. Un paese periferico, completamente fuori dall’interesse dei media, lottando contro un fenomeno considerato normale, ineluttabile, al quale è meglio adeguarsi, "ma tu non tieni famiglia?"
Più di un mese fa hanno cominciato quattro giovani magistrati nel Palazzo legislativo di Tegucigalpa. Oggi hanno l’appoggio di migliaia di persone. Hanno chiesto che il procuratore generale, Leónidas Rosa, e il suo vice, Omar Cerna, fossero rimossi dal loro incarico. Sono i vertici di un potere giudiziario tutt’altro che indipendente e profondamente compenetrato con gli altri poteri, quello legislativo, quello esecutivo e con l’immanente potere economico, quello dei soldi, quello reale che non ha nulla a che vedere con la democrazia. Quei quattro giovani lottavano da anni per capire come si potesse fare giustizia se i vertici della giustizia erano conniventi con il crimine. Finiti tutti i sistemi legali, sentendosi pressocché sconfitti, restava la lotta, ma quella testimoniale dello sciopero della fame, l’ultima risorsa di chi ha capito che nessuno, neanche l’opinione pubblica in quel momento, vuole ascoltare..." (Gennaro Carotenuto, Gli straordinari giovani giudici dell'Honduras) Continua su Giornalismo Partecipativo

Segnalato da: Francesco

giovedì, maggio 08, 2008

Durango: cinema western e revoluciòn

Durango, capitale dell’omonimo stato a nord della Federazione Messicana, è una cittá pulita ed efficiente, lastricata di grandi opere e ambiziosi progetti, che il governo locale ci ha mostrato con orgoglio ripercorrendo con suoni, sapori e suggestioni, il passato glorioso del cinema western e della revolución. Proprio qui, piú di cento anni fa, venne alla luce Doroteo Arango Arambula, un semplice peon, figlio di braccianti da generazioni a servizio dei padroni. Un uomo umile, un analfabeta, che pure ebbe l’intuizione di stringere nelle sue mani le sorti della storia nazionale.
Era il 1910 e dalla sierra di Durango, Doroteo abbandonava per sempre la vecchia pelle, per diventare Pancho Villa, uno dei padri della rivoluzione messicana. L’uomo che insieme ad Emiliano Zapata, fu temuto dai governi non per la sua stazza o per la sua veloce carabina, ma per ciò che rappresentava: i rancheros, i peones, tutti i diseredati del Messico che con lui tornavano a credere in una ribellione possibile. Molte altre lotte sono passate da allora, mentre il Messico si guadagnava poco a poco uno dei posti d’onore tra i moderni paesi emergenti. Con un ritmo di crescita costante, un tasso di inflazione contenuto, accordi commerciali privilegiati e le immense risorse che riceve dai suoi emigrati, il paese oggi può giocare un ruolo di primo piano sulla scena internazionale. Eppure non tutti i nodi sono stati risolti, permangono ancora contraddizioni, discriminazini, forti ingiustizie sociali. La ricchezza, la forza produttiva ed il potere, continuano ad essere questione di pochi, grandi, padroni e anche qui, in questa terra feconda di petrolio, fagioli e mais, la grande finanza passa al di sopra delle teste della maggior parte della popolazione. Certo, le PMI messicane oggi corrono sull’onda di una congiuntura economica favorevole, ma senza possibilitá di accesso ad un credito onesto e lungimirante, sanno di non poter guardare con fiducia al futuro. Resta in sottofondo una sfumatura di diffidenza, la sensazione che finora lo Stato é stato molto presente, paradossalmente troppo presente, accompagnando con sussidi e donazioni i produttori e le casse rurali, distribuendo con mano generosa gli effimeri frutti del petrolio nazionale. Cosa succederá quando tanta abbondanza avrá fine? I campesinos e i rappresentanti indigeni che abbiamo incontrato non sembrano avere una risposta, concentrano in un sentimento di precarietá e dipendenza le loro reticenze, i loro timori. Eppure, mi chiedo cosa abbia spinto Pancho Villa - un contadino, uno che in fondo era nato nessuno - a lanciarsi nell’impresa di cambiare secoli di stratificazione sociale. Lo hanno descritto come un rivoluzionario con una mentalità da rapinatore di banche, un uomo che non sapeva leggere ma fondò 50 scuole, un violento, un bandolero. Ma in fondo, prima di tutto, Pancho Villa è leggenda, il mito in carne ed ossa di una utopia realizzabile. Nonostante le distese lunari dell’altipiano della sua Durango fossero possenti, giganti, immense, deve aver pensato che anche per uno piccolo come lui ci fosse possibilitá di riscatto. E che per farlo non fosse necessario un esercito, onorificenze o ricchi capitali, ma potessero bastare volontá e coraggio. O il bisogno urgente ed autentico di spingersi oltre le proprie paure.

Foto: Durango, Messico - 3-11 maggio 2008 letiziajp ©