mercoledì, maggio 31, 2006

lunedì, maggio 29, 2006

CINA-AFRICA, passando per Bombay

“La globalizzazione fa bene all’Africa. In un mondo sempre più piatto, cioè senza barriere, l’economia africana cresce in modo costante e in un clima positivo, come non avveniva da decenni, grazie al prepotente ingresso sulla scena economica mondiale di Cina ed India.”
Questo è quanto sostiene l’ultimo rapporto dell’OCSE sull’Africa, e che trovo sotto vari titoli echeggiato nelle testate di vari giornali internazionali. Inizio a leggere un po’ perplessa e scopro che “il processo di liberalizzazione in corso ha incoraggiato l’arrivo in Africa di investimenti esteri dei fondi asiatici, flussi impiegati principalmente verso la realizzazione di nuovi impianti per l’estrazione di materie prime (…) aumentando anche la concorrenza nel mercato africano: la collaborazione afro-cinese ha permesso infatti ai prodotti tessili di Pechino di invadere l’Africa australe e del nord, aumentando al tempo stesso il potere d’acquisto dei consumatori africani.” Invadere, parola che mi sembra stonare con l’entusiasmo generale dell’articolo (tratto dal Sole24ore, 17/5/06), che più avanti riconosce che “Pechino si è dimostrata un’arma a doppio taglio per l’Africa, perché da una parte richiede materie prime senza badare ai prezzi, ma dall’altra si presenta alla porta come un temibile fornitore di manufatti a prezzi stracciati che spazzano via le industrie tessili locali.”
E alla fine mi chiedo, le strette di mano tra cinesi ed alcuni privilegiati africani, capi di stati ricchi di cose che si chiamano nell’ordine petrolio, oro e rame, emanciperanno davvero tutto il Continente Nero da terra di colonizzazioni a tavolo di trattative paritetiche del commercio mondiale?
Continuo a restare perplessa, perché proprio non riesco a capire cosa distingua la Cina o l’India da ex-colonizzatori come Francia o Gran Bretagna. Forse Pechino sarà così schizzinosa da chiedere alla Nigeria di rispettare i diritti umani come pre-condizione all’acquisto del suo petrolio?
Ma del resto, non si sa mai, come dice il detto, le strade del Signore…

VITA

Grazie alla mia amica Anna che mi ha inviato questo pezzo, piccole pillole per non dimenticare...

"Se per un istante Dio si dimenticherà che sono una marionetta di stoffa e mi regalerà un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto quello che penso, ma in definitiva penserei tutto quello che dico.
Darei valore alle cose, non per quello che valgono, ma per quello che significano. Dormirei poco, sognerei di più, andrei quando gli altri si fermano, starei sveglio quando gli altri dormono, ascolterei quando gli altri parlano e come gusterei un buon gelato al cioccolato!
Se Dio mi regalasse un pezzo di vita, vestirei semplicemente, mi sdraierei al sole lasciando scoperto non solamente il mio corpo ma anche la mia anima. Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei che si sciogliesse al sole. Dipingerei con un sogno di Van Gogh sopra le stelle un poema di Benedetti e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna.
Irrigherei con le mie lacrime le rose, per sentire il dolore delle loro spine e il carnoso bacio dei loro petali. Dio mio, se io avessi un pezzo di vita non lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente che amo, che la amo. Convincerei tutti gli uomini e le donne che sono i miei favoriti e vivrei innamorato dell'amore. Agli uomini proverei quanto sbagliano al pensare che smettono di innamorarsi quando invecchiano,senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi.
A un bambino gli darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo. Agli anziani insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia ma con la dimenticanza.
Tante cose ho imparato da voi, gli Uomini! Ho imparato che tutto il mondo ama vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel risalire la scarpata.
Ho imparato che quando un neonato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo tiene stretto per sempre. Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardarne un altro dall'alto al basso solamente quando deve aiutarlo ad alzarsi.
Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi....
Che la strada vi sia propizia."

Gabriel Garcìa Marquez

mercoledì, maggio 17, 2006

"Il bisogno di avere radici è forse il più importante e il meno conosciuto dell'anima umana. Difficile definirlo. L'essere umano ha le sue radici nella concreta partecipazione, attiva e naturale, all'esistenza di una comunità che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti dell'avvenire".

(Simone Weil, 1943)

GRISSINOPOLI - O della multinazionale senza padroni...

Grissinopoli è il nome di un documentario argentino un po’ speciale, perché fuori dal comune è la storia che racconta: una fabbrica di grissini indebitata fino all’osso cade in bancarotta e i proprietari non fanno né tanto né quanto che se la danno a gambe. Già duramente colpiti dalla crisi finanziaria del 2001, i 16 lavoratori (che simboli- camente rappresentano i circa 20.000 disoccupati interessati dal fenomeno…) decidono di reagire ed occupano la fabbrica, assumendone la dirigenza.
Sebbene il fenomeno delle Fabbriche Recuperate non sia una novità per l’Argentina – fatti simili si erano già verificati a fine anni 90 – dopo il dicembre del 2001 l’occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori assume più forza e visibilità, anche a livello internazionale. La concentrazione economica, i processi speculativi e l’assenza di politiche realmente rivolte a fomentare l’occupazione e rafforzare l’apparato produttivo nazionale hanno portato a un depauperamento dei livelli di vita della popolazione argentina, che ha raggiunto livelli drammatici in seguito al noto crack finanziario di 5 anni fa, quando molte fabbriche sono state obbligate a chiudere le porte. E’ chiaro che, di fronte a questo scenario, per gli operai convertirsi in padroni di fabbriche metallurgiche, tessili, alimentari e perfino di hotel costituiva un’alternativa originale - per quanto drastica e azzardata in termini di legalità e sostenibilità - alla disoccupazione permanente (nell’Hotel Bauen a Buenos Aires, dopo il processo di occupazione da parte dei lavoratori, hanno iniziato a farci anche i programmi radio, i concerti e le serate letterarie!).
Considerando che negli ultimi 4 anni i fallimenti sono stati 4.000, una media di 1000 fabbriche all’anno, in termini quantitativi 162 fabbriche recuperate non sembrano essere significative a livello macroeconomico. Però se si pensa ai posti di lavoro creati (con la loro forma peculiare di organizzazione interna cooperativa, orizzontale, democratica e solidale) e a quanto il processo di recupero implichi in termini di dignità per le persone coinvolte, allora si che questo fenomeno assume non solo significato, ma anche valore sociale.

Per approfondire: www.lavaca.org/editora/sinpatron-sedice.shtml
Fonte foto

venerdì, maggio 12, 2006

Perchè alle lucertole ricresce la coda?

Questa volta è un altro Friedman, Thomas, uno dei più apprezzati editorialisti del New York Times, a parlare della relazione tra ricchezza e democrazia (vedi post del 24 aprile “Tesi o Antitesi”), arrivando ironicamente alla definizione di un nuovo paradigma economico: la Prima Legge della Petrolpolitica. Di cosa si tratta? Osservando qua e là il confuso scenario mondiale, succede che T. Friedman giunge alla conclusione che “negli stati produttori di petrolio il prezzo del petrolio e l’avanzamento della libertà vanno sempre in direzioni opposte. Secondo questa legge, più sale il prezzo medio mondiale del greggio, più viene minata la libertà di parola e di stampa e la possibilità di avere elezioni libere e corrette, una magistratura indipendente, norme giuridiche e partiti politici indipendenti. E queste tendenze negative sono rafforzate dal fatto che più aumenta il prezzo, meno i leader del petrolio fanno caso a quel che il mondo pensa o dice di loro.” Un esempio? Il Venezuela avrebbe mandato all’inferno il primo ministro Tony Blair e l’Area di Libero Commercio sponsorizzata dagli USA se il suo paese avesse dovuto sostenersi grazie ai suoi imprenditori e non invece solo scavando pozzi?
Secondo T. Friedman l’aumento del petrolio degli ultimi tempi non è solo dovuto dalla generale insicurezza dei mercati mondiali in seguito alla violenza in Iraq, Nigeria, Indonesia e Sudan, ma anche e soprattutto al rapido ingresso nel mercato mondiale di tre miliardi di nuovi consumatori provenienti da Cina, Brasile, India e dall’ex impero sovietico. Sul piano politico ciò significherà “che un intero gruppo di stati del petrolio con istituzioni deboli o governi esplicitamente autoritari andrà incontro a un’erosione delle libertà e a un aumento della corruzione e dei comportamenti antidemocratici. (…) Perciò qualsiasi strategia volta a promuovere la democrazia che non contempli anche una strategia credibile e sostenibile per trovare alternative al petrolio e far calare il prezzo del greggio non ha alcun senso ed è destinata al fallimento. Oggi, a prescindere dalle vedute in politica estera, dobbiamo pensare geo-green. Non si può essere efficacemente realisti in politica estera o idealisti nel promuovere la democrazia, senza essere anche ambientalisti efficaci.” T. Friedman, riportato dal Corriere della Sera, inserto economico, 8 maggio 2006.

E pensare che non è una questione di brillanti intuizioni economiche. Beppe Grillo (di professione comico) le stesse cose le viene dicendo da un sacco di tempo… Sarà forse da chiedersi perché il messaggio non viene recepito? T. Friedman esclude dalla sua Prima Legge della Petrolpolitica gli stati che hanno molto petrolio ma che, prima di scoprirlo, erano già democrazie radicate, come l’Inghilterra, la Norvegia e gli Stati Uniti. Ma questi stati, magari allungando un po’ la lista, andrebbero proprio bene per un’altra legge di Petrolpolitica. La Seconda, la stessa per cui se alle lucertole si taglia la coda, quella, dopo un po’ ricresce.

giovedì, maggio 04, 2006

Kitesurfing...

Non so perchè ma mi fa venire in mente Nightswimming, la canzone dei Rem. E invece no, è uno sport, che ho scoperto grazie al mio amico Andrea e alla mia momentanea nullafacenza...allora caro Andrea, hai finito adesso di prendermi in giro per il mio blog? Impossibile spiegarvi come si fa, si fa e basta, col vento che ti entra dentro e ti dà l'impressione che basta la pressione di un dito per staccarti da terra. Poi per capirci un pò di più sono andata a guardare su Wikipedia e leggo: "Una caratteristica di questo sport è la velocità con cui si può imparare a planare e in seguito a compiere fantastiche evoluzioni. È d'obbligo seguire un corso che fornisca tutte le basi per utilizzare con sicurezza questo strumento affascinante quanto potenzialmente pericoloso"...Potenzialmente pericoloso? Vuol dire che posso farmi "potenzialmente" male? E' per questo Andrea che mi hai fatto provare solo dalla spiaggia e non in mare? O avevi paura che ti bucassi l'aquilone? Va bè, speriamo domani faccia vento..
www.kitesurfing.org

HOUSING SOCIALE

Sembra un sinonimo sinistroide di "case occupate" e invece rappresenta uno dei temi più attuali nell'ambito dell'intervento pubblico a sostegno delle politiche di welfare. Pare infatti che nelle grandi città si stia assistendo ad una vera e propria crisi dell'edilizia popolare: gli alloggi pubblici sono sempre più destinati a categorie di persone a forte rischio di esclusione sociale (invalidi, immigrati, disabili psichici, anziani soli.) Dall'altra parte, l'analisi della domanda di alloggi popolari mette in luce la crescita delle richieste provenienti da famiglie normali, nel senso che hanno come problema unico o prevalente quello del reddito. Ma a questo boom di richieste - spesso legato all'incontrollabile aumento degli affitti - non sta corrispondendo un pari aumento degli alloggi a basso costo; inoltre, l'intervento pubblico si limita ad offrire alloggi ma non si cura affatto di contribuire a risolvere i problemi generati dalla condizione di marginalità dei soggetti bisognosi. L'"housing sociale" si propone quindi di offrire soluzioni innovative che tengano conto delle molteplici sfaccettature del problema. Esempi? Villaggio Barona è un grande progetto di riqualificazione di un’area industriale di oltre 40 mila mq, nell’ambito di una convenzione urbanistica particolarmente innovativa con il Comune di Milano. Il Villaggio ospita una comunità alloggiativa, un centro diurno di aggregazione per anziani autosufficienti e per disabili, una palestra, un micro-nido per bimbi di famiglie in difficoltà, un centro di recupero professionale per giovani, strutture di assistenza ai malati terminali di AIDS e una comunità alloggio per rifugiati politici e richiedenti asilo. Il Villaggio accoglierà inoltre un pensionato destinato a 130 studenti con servizi annessi, nonché attività commerciali e artigianali, un campo polifunzionale per attività sportive all’aperto, una palestra, un’area parcheggio, una mensa, un pensionato sociale integrato, una biblioteca e una sala per conferenze e incontri(www.fondazionecariplo.it)
In definitiva l'housing sociale, è un neologismo che riunisce sotto un’unica voce solidarietà, assistenza, cooperazione, collaborazione. Concetto interessantissimo, che può anche sollevare interrogativi legittimi circa le possibili controindicazioni di simili esperimenti di ingegneria sociale: si tratterà di creare (in buona fede, non sia mai..) versioni moderne di antiche ghettizzazioni? In ogni caso sembra valga la pena approfondire. Ma...se proprio dovevamo ricorrere a un neologismo per definire qualcosa che prima non esisteva, non si poteva trovare qualcosa di meglio di parole che con l'italiano non c'entrano nulla?!

mercoledì, maggio 03, 2006

LA CHICANA



In assoluto il mio gruppo di tango contemporaneo preferito...per ascoltare dei pezzi: www.lachicanatango.com

Andiamo in Europa?

Certamente avrete presente la nuova tessera sanitaria europea, quella che sembra una carta di credito e che ci evita di dover compilare ogni volta quel noiosissimo E111 che poi restava immancabilmente spiegazzato in qualche profondità della valigia. Bhè, visto che ci hanno sprecato tanta plastica per fare questa tessera rivoluzionaria, davo per scontanto che servisse anche in Italia. E invece no.
Oggi mi presento allo sportello con la mia tesserina nuova fiammante e la tipa mi fa: "mi serve la tessera sanitaria italiana". Resto interdetta e lei aggiunge: "questa qui è valida per l'Europa, in Italia non siamo ancora abilitati ad usarla". Ma mi scusi, l'Italia dov'è, non è più in Europa? Fare tanto casino per avere inventato la tessera sanitaria che infrange le barriere per poi perdersi nell'ennesima centuplicazione. A che scopo poi? Le ho controllate, sono identiche, solo che una è di carta e l'altra è di plastica e in quella di carta c'è scritto dove abito. Servono per la stessa cosa -ricevere assistenza sanitaria pubblica-ma in Paesi diversi (un dubbio, se cambio Regione quale dovrò usare?), non sono sostitutive e quindi devo portarmele dietro tutte e due. Ho il portafoglio che non si chiude più e mi chiedo con sconcerto quanto ancora dovremo aspettare prima di andarci davvero, in Europa.

lunedì, maggio 01, 2006