lunedì, marzo 02, 2009

L'evoluzione impercettibile dei cambiamenti

...Bruxelles, coi suoi viali ampi e le case basse che lasciano sempre vedere il cielo, anche quando il grigio della pioggia lo ricopre di nuvole. Bruxelles e il profumo di kebab, cannella e goffres dolciastre che riempie l’aria, i suoi quartieri multietnici e i canti arabi a due passi dalla Cattedrale, la Stazione Centrale e il fiume incessante di volti che mi passa accanto, senza fretta e senza rumore. Bruxelles e i suoi spazi aperti, il parco dietro casa e l’autobus numero 92, il cicaleccio dei bambini turchi sotto la finestra di camera mia, le passeggiate fino a casa di Laurence, un bicchiere di birra e il calore sicuro di un’amicizia. E la Grand Place, piazza centrale che ti sorprende alla fine di un dedalo stretto di vicoli con uno degli scorci più suggestivi d’Europa, dove così tante volte sono corsa la domenica mattina, alla ricerca del profumo dei primi giorni d’inverno e dei tesori del mercatino delle pulci da esplorare. Da questa distanza, finalmente, capisco come appare l’Italia all’esterno, Italia così gelosa dei suoi confini territoriali da considerarsi ancora Stato-Nazione autonoma e a se stante, in una geografia che invece si fa sempre più europea. Cittadini d’Europa, sembrava un concetto da campagna politica, buono per convincere un elettorato sfiduciato e stanco di anni di promesse non mantenute, invece Bruxelles dimostra che è davvero possibile sentirsi così.
Non si tratta solo di questioni economiche, non è una moneta comune che ci fa essere parte dell’insieme, è piuttosto una coscienza storica, una nostalgia per elementi che accomunano piuttosto che dividere. Nei dibattiti del Parlamento Europeo, negli incontri tra Commissione e Società Civile, nelle manifestazioni per la pace, negli scontri tra immigrati e nei poveri che affollano la Stazione Nord alla ricerca di un posto caldo e di un arrivo definitivo, in tutto questo c’è qualcosa che mi riguarda, che ci riguarda tutti e ci trascina a forza al di fuori dei nostri singoli rassicuranti confini. E’ l’inevitabilità di un destino comune, nato per evitare una volta per tutte gli orrori di una nuova guerra e cresciuto grazie alla convinzione di chi ha creduto nel potere creativo della collaborazione e della fiducia reciproca. La fluttuazione dei prezzi nei mercati francesi, i disastri naturali spagnoli o italiani, la politica agricola tedesca, tutto ciò avrà delle ripercussioni in ogni singolo stato membro, impossibile poter pensare ancora di vivere in territori a compartimenti stagno.
Ma l’importanza di quest’appartenenza comune è visibile solo dal di fuori, quanti in Italia percepiscono il loro essere europei, quanti ci credono, quanti conoscono i loro diritti, i loro doveri, le loro possibilità al di fuori e all’interno dell’Italia stessa? Le vicende politiche nazionali si fanno sempre più sconcertanti, gli interessi dei singoli hanno la meglio sul benessere della collettività, il sistema scolastico sta implodendo sotto i colpi di una riforma caotica che insegue modelli esteri vincenti, i prezzi aumentano, le contestazioni meschine tra partiti accrescono la sfiducia nel potere di un voto e di un ideale. Questa è l’Italia vista dall’esterno, questa è l’Italia dipinta dai giornali stranieri, derisa nelle conversazioni tra colleghi in un ufficio qualunque di Bruxelles, l’Italia che non riesco a difendere, che non riesco a giustificare.
Eppure non posso che credere che le cose cambieranno, devono cambiare, il cammino verso una identità europea non può che essere inevitabile. Una identità che non si basi solo sui proventi economici di un mercato comune, libero e senza barriere, né solo su strategie di difesa militare contro una minaccia esterna da cui difendersi. La base di tutto va ricercata nell’apertura mentale verso tutto ciò che è diverso da noi stessi, nella predisposizione all’ascolto, nel contributo costante per rendere la nostra società un posto migliore da abitare. E’ il principio democratico che si fa spazio tra le pieghe dei particolarismi nazionali e degli interessi individuali e sul quale bisogna partire per costruire il paese Europa. Democrazia che non è solo l’espressione di un diritto di voto ma anche il dovere di costruirsi sempre un’opinione, invece di trincerarsi dietro un velo di cieca indifferenza per ciò che ci accade intorno. Inutile lamentarsi che le cose non funzionano se poi non si propone un’idea per cambiarle, un’alternativa da cui ricominciare.
Siamo ancora in tempo per far si che la società in cui ci ritroveremo a vivere tra due, cinque, dieci anni, sia il frutto di un cammino liberamente scelto e intrapreso e non piuttosto il risultato casuale della nostra inerzia intellettuale.
(Leti appunti - Bruxelles, luglio 2003)