lunedì, febbraio 01, 2010

Ḥammām

L'invasione della Siria bizantina nel VII secolo portò agli arabi conquistatori il dono inaspettato degli edifici termali. Preservati dalla distruzione, i bagni di vapore riuscirono a compiere l'incantesimo più ardito: sposare il culto pagano del corpo con l'anelo purificatore della relegione. E' dal matrimonio più improbabile tra occidente e mondo islamico che nasce l'hammam, luogo di pace e penombra, di preghiera e socialità. Se l'Islam fu alla base della fortunata diffusione dei bagni termali in tutto il mondo arabo, il bisogno di incontrarsi, chiacchierare e fare affari, coccolati da atmosfere dense e profumate, è per i frequentantori dell'hammam tanto importante quanto le impellenze igenica e religiosa. La rigorosa separazione tra i sessi, a orari distinti del giorno, consente la totale libertà d'espressione del lavarsi, che dall'atto accelerato e inconscio a cui ci ha abituato il nostro concetto di tempo - tra le impellenze di onnipresenti impegni e neoattuali emergenze ambientali - diventa un vero e proprio rito di socializzante virtù. Domenica pomeriggio ho scoperto che l'hammam non è altro che una formula sofisticata di moderna terapia, una ricetta a metà strada tra un corso di autostima e un social network di comunità. Varcata la soglia de Le Riad ci lasciamo alle spalle il quartiere grigio cemento di Schaerbeek e pensando di essere ancora in Belgio, entriamo di fatto in un quartiere popolare di Marrakesh. Profumo d'incenso e mirra, risate sommesse, passi attutiti, donne grasse e more che intrecciano capelli bevendo thè alla menta, mentre ogni tanto una voce schioccante e acuta improvvisa un suono che sa di canzone e i corpi iniziano una danza strana. Movimenti, per le nostre figure impacciate e tese, impossibili da replicare. Ci muoviamo con circospezione in questo vociante universo di donne berbere, attente ad ogni passo, ad ogni rumore, in balìa di una balia pesante che in poche parole ci spiega di sloggiare, parcheggiandoci in un angolo tra cuscini e candele. Entrare per la prima volta in un hammam è come lanciarsi in una pista da ballo senza conoscere i passi, come essere allo zoo dalla parte di quegli animali esotici rinchiusi in gabbiette strette, tutti ti guardano con un risolino strano, a metà tra il divertimento e la compassione... Arriva finalmente il nostro turno e infiliamo costume e sandali, asciugamano caldo di panno e in fila scendiamo le scale in direzione del vapore. Di sotto ci aspetta la prova concreta della nostra menomazione culturale: l'occidente delle libertà stridenti, nel ventre caldo dell'hammam fa i conti con le proprie radicate inibizioni. Di fronte a quella piccola folla di donne festose, coperte solo di sapone nero e carne molle, i nostri quattro costumi da mare fanno lo stesso effetto di quattro armature dietro cui nasconderci, piano, fino a scomparire. La domenica pomeriggio l'hammam è lo spazio delle donne: madri, figlie, sorelle, amiche che condividono un'epidermide spessa e scura, la voce allegra, il tempo del lavarsi a vicenda, a fondo. Come se quello strofinare forte fosse la prova del loro legame più solido, fatto di pelle rigorosamente protetta all'esterno, che in quel luogo spensierato e buio diventa il palcoscenico della loro reale libertà. Dove i segni del tempo sui corpi non sono mai oggetto d'attenzione, ma solo il segnale cronologico della parabola che percorrerà inevitabilmente la vita di ciascuna, la vita di tutti. Mentre indugiano a lungo nei pavimenti di pietra, nell'intercalare cantilenante di quella loro lingua rauca, io mi lascio rigirare e strofinare da una corpulenta Hamami, che solo con strizzate d'occhi e movimenti di mano mi indica la posa da prendere e quando è ora di andare. L'epidermide morta viene via insieme al sapone nero di Aleppo e io sento che il mio peso perde sostanza inutile, diventa leggero. Mi guardo intorno e penso a questi spazi di madri-figlie-sorelle-amiche, piazze sotterranee riempite di una fisicità sana - serena - dove si insegna a prendersi cura di se prendendosi cura degli altri. Ed esco con una rilassatezza anomala, come se in quello strofinare graffiante e ruvido le mani sapienti avessero attraversato il corpo, toccando in qualche interstizio dimenticato, un nodo gonfio da massaggiare.

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