Curiosi di seguirmi?

"Reescribí todos los cuentos otra vez desde el principio en ocho meses febriles en los que no necesité preguntarme dónde terminaba la vida y dónde empezaba la imaginación...la escritura se me hizo entonces tan fluida que a ratos me sentía escribiendo por el puro placer de narrar, que es quizás el estado humano que más se parece a la levitación" Gabriel Garcìa Marquez, Doce cuentos peregrinos

Catturare l’attenzione, persuadere e ottenere l’appoggio solidale della grande massa inerte che noi chiamiamo pubblico è un compito delicato e difficile. La stampa, in quanto principale mezzo di informazione, è l’unica all’altezza di farlo. E se svolgerà questo compito con intelligenza, coscienziosità e coraggio, diffondendo consapevolezza come il sole diffonde la luce, il potere dell’opinione pubblica contribuirà alla giustizia nel governo, alla trasparenza in politica e a una più alta moralità negli affari e nella vita sociale della nazione.
Joseph Pulitzer - 1904
Non pensavo che fosse ancora necessario citare frasi cosi. Nella mia testa era comunque una semplice questione di civiltà, di buon senso. Eppure è arrivata al momento giusto e ha colto nel segno, ha scavato dentro una fessura nuda che sta diventando crepa. E non è un buon segno. Per l'Italia, intendo. Per me si invece, è un buon segno che queste parole mi parlino dentro, perchè in un attimo ho capito che non sono una pazza irresponsabile, ma solo una di quelle che si trova a suo agio dentro la propria disubbidienza...Vorrei tu fossi donna. Vorrei che tu provassi un giorno ciò che provo io. Lo so: il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica che si estende perfino al linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna. La prima creatura non è una donna: è un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai. Dio è un vecchio con la barba: mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi sono maschi: da quel Prometeo che scoprì il fuoco a quell’Icaro che tentò di volare, su fino a quel Gesù che dichiarano figlio del Padre e dello Spirito Santo: quasi che la donna da cui fu partorito fosse un’incubatrice o una balia. Eppure, o proprio per questo,essere donna è così affascinante. E’ un’avventura che richiede un tale coraggio,una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da fare se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o un bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva,colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che urla d’essere ascoltata. Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. E’ solo un diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto ad urlarlo. E spesso, quasi sempre, perderai. Ma non dovrai scoraggiarti. Battersi è molto più bello che vincere, viaggiare è molto più bello che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto, avverti un gran vuoto. E per superare quel vuoto devi metterti in viaggio di nuovo, crearti nuovi scopi. Sì, spero tu sia una donna. (O.F.)
Il mio pensiero fondamentale è che la gente, per una legge di natura, si divide generalmente in due categorie: una inferiore (gli ordinari), ovvero per così dire, il materiale utile unicamente alla procreazione di qualcosa di simile a se stesso, e un'altra che è quella degli uomini, ovvero di coloro in possesso del dono o del talento di dire la loro parola nuova nell'ambiente. A questo punto si intende che le suddivisioni sono infinite, ma i tratti distintivi di entrambe le categorie sono abbastanza netti: la prima categoria, ovvero il materiale, parlando in termini generali consiste in persone per loro natura conservatrici, ammodo, che vivono nell'obbedienza e amano essere obbedienti. (...) Nella seconda categoria, invece, tutti violano la legge, sono dei distruttori, o sono inclini a esserlo, a seconda delle capacità. S'intende che i delitti di queste persone sono relativi, e dei più vari; perlopiù essi esigono, nelle forme più svariate, la distruzione del presente in nome di qualcosa di migliore. (...) La prima categoria è sempre signora del presente, la seconda categoria è signora del futuro.I primi conservano il mondo e l'accrescono numericamente, i secondi muovono il mondo e lo conducono verso una meta. Tanto questi che quelli hanno esattamente lo stesso diritto di esistere.
FËDOR DOSTOEVSKIJ - Delitto e castigo
Nel dicembre 2008 la Commissione Europea lanciò un’iniziativa politica volta a costruire legami più solidi tra mondo della formazione e mondo del lavoro. Il gruppo di esperti creato a tale scopo ha recentemente evidenziato - in una conferenza tenutasi a Bruxelles il 4 febbraio dal titolo “New skills for new jobs” - che una delle maggiori sfide dell’Europa da qui al 2020 sarà proprio quello di comprendre come ampliare e qualificare il portafoglio di competenze degli individui, affinchè siano in grado di generare nuove forme – non solo nuovi posti - di lavoro e di dotarsi delle capacità per gestirle al meglio. Secondo le ultime proiezioni di CEDEFOP sull’evoluzione della domanda e offerta di competenze in Europa, entro il 2020 saranno creati 7 milioni di nuovi posti di lavoro, a cui si aggiungono i 73 milioni di opportunità lavorative frutto della naturale evoluzione del mercato (pensionamenti o mobilità). Se dal lato della domanda di personale le proiezioni evidenziano che la richiesta di capacità e competenze è in costante aumento, dal lato dell’offerta si registra un trend simmetrico, con una diminuzione delle persone meno qualificate (anche dovuto al ricambio generazionale) e l’aumento di persone altamente o mediamente qualificate. Tuttavia, le previsioni suggeriscono un ulteriore appesantimento della tendenza già in atto, che vede molte persone con qualifiche elevate ricoprire posti di lavoro di basso profilo. Le ricerche di Cedefop suggeriscono che il problema non è tanto essere “sovraqualificati”, ma è il sotto utilizzo di qualifiche e competenze a costituire una seria minaccia per il benessere degli individui, delle imprese e della società nel suo complesso....
L'invasione della Siria bizantina nel VII secolo portò agli arabi conquistatori il dono inaspettato degli edifici termali. Preservati dalla distruzione, i bagni di vapore riuscirono a compiere l'incantesimo più ardito: sposare il culto pagano del corpo con l'anelo purificatore della relegione. E' dal matrimonio più improbabile tra occidente e mondo islamico che nasce l'hammam, luogo di pace e penombra, di preghiera e socialità. Se l'Islam fu alla base della fortunata diffusione dei bagni termali in tutto il mondo arabo, il bisogno di incontrarsi, chiacchierare e fare affari, coccolati da atmosfere dense e profumate, è per i frequentantori dell'hammam tanto importante quanto le impellenze igenica e religiosa. La rigorosa separazione tra i sessi, a orari distinti del giorno, consente la totale libertà d'espressione del lavarsi, che dall'atto accelerato e inconscio a cui ci ha abituato il nostro concetto di tempo - tra le impellenze di onnipresenti impegni e neoattuali emergenze ambientali - diventa un vero e proprio rito di socializzante virtù. Domenica pomeriggio ho scoperto che l'hammam non è altro che una formula sofisticata di moderna terapia, una ricetta a metà strada tra un corso di autostima e un social network di comunità. Varcata la soglia de Le Riad ci lasciamo alle spalle il quartiere grigio cemento di Schaerbeek e pensando di essere ancora in Belgio, entriamo di fatto in un quartiere popolare di Marrakesh. Profumo d'incenso e mirra, risate sommesse, passi attutiti, donne grasse e more che intrecciano capelli bevendo thè alla menta, mentre ogni tanto una voce schioccante e acuta improvvisa un suono che sa di canzone e i corpi iniziano una danza strana. Movimenti, per le nostre figure impacciate e tese, impossibili da replicare. Ci muoviamo con circospezione in questo vociante universo di donne berbere, attente ad ogni passo, ad ogni rumore, in balìa di una balia pesante che in poche parole ci spiega di sloggiare, parcheggiandoci in un angolo tra cuscini e candele. Entrare per la prima volta in un hammam è come lanciarsi in una pista da ballo senza conoscere i passi, come essere allo zoo dalla parte di quegli animali esotici rinchiusi in gabbiette strette, tutti ti guardano con un risolino strano, a metà tra il divertimento e la compassione... Arriva finalmente il nostro turno e infiliamo costume e sandali, asciugamano caldo di panno e in fila scendiamo le scale in direzione del vapore. Di sotto ci aspetta la prova concreta della nostra menomazione culturale: l'occidente delle libertà stridenti, nel ventre caldo dell'hammam fa i conti con le proprie radicate inibizioni. Di fronte a quella piccola folla di donne festose, coperte solo di sapone nero e carne molle, i nostri quattro costumi da mare fanno lo stesso effetto di quattro armature dietro cui nasconderci, piano, fino a scomparire. La domenica pomeriggio l'hammam è lo spazio delle donne: madri, figlie, sorelle, amiche che condividono un'epidermide spessa e scura, la voce allegra, il tempo del lavarsi a vicenda, a fondo. Come se quello strofinare forte fosse la prova del loro legame più solido, fatto di pelle rigorosamente protetta all'esterno, che in quel luogo spensierato e buio diventa il palcoscenico della loro reale libertà. Dove i segni del tempo sui corpi non sono mai oggetto d'attenzione, ma solo il segnale cronologico della parabola che percorrerà inevitabilmente la vita di ciascuna, la vita di tutti. Mentre indugiano a lungo nei pavimenti di pietra, nell'intercalare cantilenante di quella loro lingua rauca, io mi lascio rigirare e strofinare da una corpulenta Hamami, che solo con strizzate d'occhi e movimenti di mano mi indica la posa da prendere e quando è ora di andare. L'epidermide morta viene via insieme al sapone nero di Aleppo e io sento che il mio peso perde sostanza inutile, diventa leggero. Mi guardo intorno e penso a questi spazi di madri-figlie-sorelle-amiche, piazze sotterranee riempite di una fisicità sana - serena - dove si insegna a prendersi cura di se prendendosi cura degli altri. Ed esco con una rilassatezza anomala, come se in quello strofinare graffiante e ruvido le mani sapienti avessero attraversato il corpo, toccando in qualche interstizio dimenticato, un nodo gonfio da massaggiare.Forse Già lo sai che a volte la follia
Sembra l'unica via
Per la felicità
C'era una volta un ragazzo
chiamato pazzo
e diceva sto meglio in un pozzo
che su un piedistallo
Oggi indosso
la giacca dell'anno scorso
che così mi riconosco
ed esco
Dopo i fiori piantati
quelli raccolti
quelli regalati
quelli appassiti
Ho deciso
di perdermi nel mondo
anche se sprofondo
lascio che le cose
mi portino altrove
non importa dove
non importa dove
Io, un tempo era semplice
ma ho sprecato tutta l'energia
per il ritorno
Lascio le parole non dette
prendo tutta la cosmogonia
e la butto via
e mi ci butto anch'io
Sotto le coperte
che ci sono le bombe
è come un brutto sogno
che diventa realtà
Ho deciso
di perdermi nel mondo
anche se sprofondo
Applico alla vita
i puntini di sospensione
Che nell'incosciente
non c'è negazione
un ultimo sguardo
commosso all'arredamento
e chi si è visto, s'è visto
Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni
Lascio che le cose
mi portino altrove
altrove
altrove
Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni
“Ho sempre avuto, nel corso della mia intera esistenza, la netta sensazione di aver vissuto in altri tempi e in altri luoghi, di aver addirittura ospitato in me altre persone”. A parlare è Darrel Standing - professore rinchiuso nel carcere di San Quentin per un delitto passionale e in attesa della pena capitale per aver accidentalmente colpito di striscio un secondino - ma è anche e soprattutto il suo autore. Scrittore prolifico – anche se in Italia poco conosciuto, se non nelle vicende epiche in versione cartonata di Zanna Bianca e Il richiamo della foresta - Jack London (1876 – 1916) ha impregnato di vissuto tutta la sua scrittura, attingendo alle suggestioni di un’esistenza eclettica che lo ha visto strillone di giornali, pescatore di ostriche, lavandaio, cacciatore di foche, corrispondente di guerra russo-giapponese e cercatore d'oro, per poi diventare uno scrittore ricco e di successo già tra i suoi conteporanei....Stava per andare a Lisbona ma non associava ancora il nome della città dove forse Billy Swan sarebbe morto con il titolo di una canzone che lui stesso aveva composto e nemmeno con quel luogo che a lungo aveva sbarrato alla sua memoria. Solo alcune ore dopo, all'aereoporto, quando vide Lisboa scritto a lettere luminose sul tabellone dei voli in partenza, ricordò quanto questa parola avesse significato per lui, tanto tempo prima, in un'altra vita, e capì che tutte le città dove aveva vissuto dopo aver lasciato San Sebastian erano i prolungati episodi di un viaggio che forse adesso avrebbe concluso: tutto quel tempo ad aspettare e fuggire, e nel giro di due ore sarebbe arrivato a Lisbona.
Antonio M. Molina - L'inverno a Lisbona
L’Honduras ogni tanto rientra nella mia vita, nei modi più impensati. Una lettera o una foto trovata in un armadio dopo l'ennesimo trasloco, l'insofferenza per le scelte di marketing del famoso reality, il ricordo vago di un frutto, la mail di un amico. Ma l'ultima cosa a cui avrei mai pensato era un colpo di stato.
il Presidente Honduregno Miguel Zelaya, poiché quest’ultimo aveva tentato di "violare la legge facendo votare un referendum per autorizzare la sua elezione". Scendiamo nei dettagli: il Sole 24 Ore parla di "arresto", riferendosi a quello che di fatto è stato un sequestro di persona ad opera delle Forze Armate, su incarico della Corte Suprema. (Sarò pignola?) Poi poco più avanti, in chiusura, sempre lo stesso autorevole quotidiano cita come unica fonte La Prensa, quotidiano hondureno che - come la maggior parte dei giornali locali - non brilla certo per obiettività. Passiamo a La Repubblica, che fin dall’occhiello del suo articolo fa prontamente capire di avere gli stessi informatori del Sole24Ore, quando scrive “Zelaya arrestato e trasferito in Costa Rica. Voleva riformare la Costituzione per essere rieletto”. Per non parlare di Studio Aperto (…) che ha mandato in onda un servizio nel quale i compatrioti bergamaschi di Micheletti - di origini apunto bergamasche – gli inviavano i migliori auguri per il “nuovo incarico presidenziale”.
briga di verificare quelle “due o tre verità che contano”? Come l’Iran ci ha già insegnato – e come sarà sempre più preponderante in futuro? – le versioni meno facili, meno precotte, meno edulcorate dai passaparola delle agenzie di stampa ufficiali, sono quelle che arrivano via facebook, twitter, o per e-mail da quei pochi amici o amici di amici che per scelta o per nascita sono ancora sul posto, a raccontare, dei fatti, un’altra versione. Il contraddittorio, si dice, è la base della giustizia, a maggior ragione quando l’imputato è la stessa democrazia.
nei paesi limitrofi - è una anomalia istituzionale che vive della sostanziale assenza di separazione dei poteri, in uno stato dove il Legislativo (Congresso Nazionale della Repubblica) si sovrappone all’Esecutivo nella gestione di gran parte del budget nazionale, senza che ci sia nessuna istituzione che ne controlli l’operato. Da qui l’alto livello di corruzzione che affligge da sempre il paese e che impedisce qualsiasi speranza di uno sviluppo diffuso. E il terzo potere? In Honduras i giudici sono nominati dal Congresso Nazionale. Il Potere Legislativo fa le veci del Potere Esecutivo su ampia quota della finanziaria locale e nomina il Potere Giudiziario. Che effetto avrebbe su questo schizzofrenico equilibrio istituzionale una riforma volta a porre le basi per la modernizzazione del paese? La risposta se la devono essere data abbastanza in fretta i rappresentanti della minoranza privilegiata che siedono nel Congresso e nella Corte Suprema. Portare le Forze Armate dalla loro parte non deve essergli poi costato neanche tanto. Separazione dei Poteri, uno dei principi fondamentali dello stato di diritto e tema del test di ingresso a Gorizia, nel lontanissimo 1997. Incredibili i giri che fa la storia, a volte, per tornarti incontro.
in pista dalla sua stessa riforma. E forse, in fondo, l’Honduras – con un livelo di corruzzione tra i più alti al mondo, povertà, generalizzata apatia e onnipresenza del narcotraffico - non è ancora pronto a gestire in trasparenza una Costituzione degna di un moderno stato democratico, che la riforma tentata da Zelaya puntava a creare. Forse i poteri devono ancora restare accentrati, sicuramente con maggiore controllo da parte di organismi esterni, magari internazionali. C’è poi chi sostiene che esistono anche altri modelli per organizzare una società e che il colpo di stato in Honduras non solo sia perciò legittimo, ma anche dovuto, in ottemperanza alla legge locale. Poi però non dice nulla se sia legale o meno che in questo momento siano stati sospesi - su richiesta del nuovo, temporaneo, Presidente post-golpe - tutti i principali diritti costituzionali.
sensazione di ascoltare notizie e leggere articoli che per fretta o distrazione ho preso per veri, perdendomi così pezzi essenziali di verità. Se anche l’informazione è diventata un’industria – non una professione, non un diritto/dovere essenziale – allora mi chiedo, infine, se la carta stampata deciderà di combattere sul piano della concorrenza le moderne, immateriali ma efficacissime, evoluzioni della comunicazione (da Facebook a Twitter passando per YouTube) o se preferirà giocare in ritirata, in nome dell’ormai purtroppo diffusa differenziazione tra “informazione di massa” e “informazione di qualità”. Tante domande mi faccio, le risposte ho come il sospetto che dovrò cercarmele da me. Un effetto positivo questa vicenda ce l’ha comunque avuto: portare il popole honduregno per strada, dargli finalmente lo stimolo per alzare la voce. Le foto sono gentile cortesia di chi è rimasto, per raccontare.
Se mi chiedessero con quale mezzo mi sposto più volentieri risponderei senza indugio il treno! , non solo per la libertà silenziosa che ti concedono rotaie ben piantate sulla terra, ma anche per il frastorno di arrivi e partenze in tante stazioni diverse del pianeta. Quelle pance scure e umide, sempre brulicanti di odori e di mondo, a metà strada tra la hall di un aereoporto e la fermata del tram. Le stazioni ti fanno guadagnare il viaggio e ti danno il tempo di rimettere in moto i cinque sensi, prima di lanciare il piede fuori, tra la luce e la folla. Quello di sabato 27 giugno, ad esempio, è stato un viaggio fuori dal comune, destinazione: stazione di Londra St-Pancras. Viaggio non proprio esotico, ma speciale per vari motivi: andavo al mio primo concerto di Neil Young ed era la prima volta che a Londra ci arrivavo in treno, viaggiando a -40 metri Non disprezzare il poco, il meno, il non abbastanza
L’umile, il non visto, il fioco, il silenzioso
Perché quando saranno passati amori e battaglie
Nell’ultimo camminare, nella spoglia stanzaNon resteranno il fuoco e il sublime, il trionfo e la fanfara
Ma braci, un sorso d’acqua, una parola sussurrata, una nota
Il poco, il meno il non abbastanza
Stefano Benni
Sull'esempio portato dal sign. Garzanti avrei qualche dubbio, ma quello che conta in questa sede è che la definizione mi calza a pennello. Per cui, fedelissimi lettori, portate pazienza. Non ho il blocco dello scrittore, niente apatie, nè viaggi intorno al mondo (sic!). Sto semplicemente sperimentando il complesso delle trasformazioni di natura chimica che avvengono negli organismi viventi e attraverso le quali essi si conservano e si rinnovano...
Fonte foto: letiziajp ©
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito
e della vita il doloroso amore.Ulisse, Umberto Saba
La fiducia è una cosa importante. E fra tutte, la fiducia nel futuro è l'unico motore in grado di alimentare la vita, renderla diversa dal mero sopravvivere. C'è stata un'epoca in cui tutto era possibile, l'avvenire carico di promesse, la strada dell'umanità pavimentata col cemento solido di un progresso inevitabile. Gramsci diceva che bisogna essere pessimisti con la ragione e ottimisti con la volontà. Forse voleva dire che nella vita occorre pragmatismo e che a vedere il mondo solo rosa si cade nello stesso errore del bianco e nero, l'illusione che sia possibile definire la complessità con un solo colore.
Nasce in Inghilterra The Big Picture – il grande disegno – cooperativa che commercializza le opere d’arte create dai bambini di strada di diverse parti del mondo. Secondo le Nazioni Unite, i bambini di strada nel mondo sono oggi 100 milioni e lo stato di abbandono in cui si trovano a vivere li rende più vulnerabili all’insorgere di problemi psicofisici, abusi sessuali, dipendenza da droghe e propensione a cadere nel vortice della criminalità. Da parte sua, la cooperativa rifornisce di materiali e finanziamenti le organizzazioni partner che lavorano con bambini di strada. I bambini usano il materiale per produrre lavori artistici che poi vengono venduti dalla Big Picture tramite il proprio web site. Dall’altro lato, le organizzazioni che collaborano al progetto ricevono dalla cooperativa anticipi mensili per realizzare i lavori e ulteriori fondi in base al fatturato. I disegni sono poi incorniciati da dei detenuti che lavorano nella cooperativa per cicli di quattro settimane, come parte del proprio programma di riabilitazione. Durante tutto il periodo i detenuti vengono totalmente integrati nella cooperativa e hanno voce in capitolo sulle scelte aziendali, ricevono formazione sulla storia, valori e principi del Movimento Cooperativo e hanno la possibilità di sperimentare una modalità di lavoro autenticamente democratico. La speranza della Big Picture è che una volta scontata la pena, i detenuti possano reinventarsi una vita all’interno del settore cooperativo.
Ho sempre pensato che l’ingrediente fondamentale di un buon programma TV fosse prima di tutto un buon presentatore. Eppure, nonostante preferissi di gran lunga la pinguedine acuta di Giuliano Ferrara, Otto e Mezzo continua ad essere un bel programma di approfondimento, a prescindere dal restiling imposto dai primi piani civettuoli delle pose sbilenche della Gruber.
Nella stessa giornata mi è capitato tra le mani più volte, un articolo di giornale, un amico che me ne parla, una rivista che lo mette in prima pagina. Non è ancora un fenomeno ma l'attualità a cui assistiamo inermi ne fa sicuramente una potenziale tendenza e allora ho deciso di rifletterci su. Si chiama Jak (terra, lavoro, capitale), è una banca cooperativa e nasce in Svezia, patria di molte altre trovate ecologiche e sostenibili. Questa volta la trovata è di natura finanziaria e non è una novità: la Jak Bank opera informalmente dal 1965, opera su tutto il territorio svedese e nel 1997 è stata riconosciuta come banca dall'autorità di vigilanza nazionale. Ad essere rivoluzionaria - rispetto al comune sentire - è piuttosto la filosofia che c'è dietro: il credito non deve generare interesse. Concetto molto vicino a quello promosso dalla "finanza islamica", l'idea dei fondatori della Jak è che qualsiasi tipo di speculazione non può essere sostenibile nel lungo periodo, a maggior ragione la speculazione sul denaro, monito amaro in un'epoca che sta assistendo all'implosione dei credo universalmente accettati dell'alta finanza. Il sistema promosso dalla Jak si fonda sull'assenza di interesse nei servizi di raccolta e d'impiego: i soci della banca possono accedere ai prestiti in proporzione al risparmio accumulato - punti di risparmio - su cui pagano una commissione complessiva che serve esclusivamente a ripagare la banca dei costi sostenuti per il servizio (intorno al 2.5% fisso). Il sistema può presentare delle criticità nel momento in cui si passa da microprestiti a crediti di più alto ammontare, tenendo in considerazione che il risparmio obbligatorio è comunque non remunerato e se immobilizzato per lungo periodo, in condizioni di alta inflazione, può portare all'erosione del proprio capitale. Tuttavia, come tutti gli strumenti fuori dal comune, il sistema difeso da Jak per tutti questi anni lancia dei segnali che oggi più che mai risultano appetibili - socialmente parlando....Nel maggio 2008, pochi mesi prima dello scoppio della crisi finanziaria, l'esperienza della Jak Bank diventava protagonista su Rai 3 di una puntata di Report. Da lì il tam tam è stato immediato, tanto che a settembre di quest'anno nasceva formalmente Jak bank Italia, un'associazione culturale con sede a Firenze che si propone di lavorare sulle orme della banca cooperativa svedese per arrivare presto a una Jak bank anche in Italia. Sarà - culturalmente - fattibile nel belpaese? In Italia esistono 449 banche di credito cooperativo, una Banca Etica e una neonata rete di istituzioni di microfinanza che a vario titolo si muovono nel microcosmo di famiglie italiane che pur in crescente difficoltà non hanno ancora raggiunto i livelli di indebitamento del resto d'Europa (fino a poco tempo fa venivamo considerati arretrati per questo, oggi sembra averci salvato - per il momento - dal tracollo finanziario) . Un microcosmo complesso, in bilico tra il bancario e il sociale, che pur ricercando una logica nella contraddizzione apparente tra beneficio sociale e profitto, non rinuncia alla ricerca di un utile annuale, elemento in molti casi essenziale per rendere l'istituzione forte e sostenibile. Il caso della Jak Bank può essere applicabile su larga scala, lo dimostrano i suoi 35.000 soci, alcuni anche fuori confine e può effettivamente contaminare positivamente la società: un effetto trickle-down virtuoso dove il costo più basso dei prestiti ricevuti da un produttore si riversano sul consumatore sotto forma di prodotti meno costosi. Ma c'è qualcosa in questo meccanismo che continua a non convincermi...la sua replicabilità in ogni caso, intendo. Per essere veramente efficace dovrebbe essere in grado di sostenere il tessuto produttivo senza vincolare le imprese - strutturalmente bisognose di circolante - al risparmio obbligatorio. Ma in tal caso chi è disposto a risparmiare al loro posto a costo zero? E se una o più imprese in un momento di crisi non sono più in grado di restituire, come si mantiene in piedi il sistema se non ha accumulato riserve sufficienti? Forse la risposta è culturale, figlia di una società nordeuropea culturalmente diversa dall'Italia latina in cui viviamo. Da noi esperienze simili si chiamano MAG (mutue auto gestione) o GAS (gruppi di acquisto solidale), sono dimensionalmente limitate e le condizioni proposte volontaristiche, difficilemente sostenibili come modello su larga scala. Però...esistono anche esperienze di nicchia, che fanno della banca uno "strumento al servizio", veicolando il rispamio di cittadini consapevoli ed informati verso attività imprenditoriali meritevoli, ma prive di accesso al credito. Ancora una volta sono idee di frontiera, goegraficamente parlando. Una di queste è Ethical Banking, il servizio di finanza reposabile della cassa rurale di Bolzano. Vale sempre la pena informarsi, equivale a regalarsi la possibilità di scegliere.