lunedì, luglio 03, 2006

ISTAMBUL

"Parlo del buio serale che scende presto, dei padri che tornano a casa sotto i lampioni dei quartieri periferici, con un sacchetto in mano. Parlo dei librai anziani che, dopo una delle frequenti crisi economiche, aspettano tutto il giorno, tremando di freddo, un lettore; dei barbieri che si lamentano del calo della clientela; dei marinai che lavano i vecchi battelli del Bosforo, ancorati ai moli vuoti, sui quali si addormentano fra poco, e nel frattempo danno un’occhiata alla televisione piccola e lontana, in bianco e nero; dei bambini che giocano a pallone tra le auto sulle strade strette e lastricate; delle donne con le sciarpe in testa e i sacchetti di plastica in mano, che aspettano silenziosamente l’autobus nelle fermate di periferia; delle rimesse per le barche delle vecchie yali ; delle sale da tè piene zeppe di disoccupati; dei ruffiani che, pazienti, nelle sere d’estate, gironzolano su e giù per i marciapiedi sperando di trovare un turista ubriaco nella piazza più grande della città; della folla che, nelle sere d’inverno, corre per prendere in tempo il battello, delle donne che la sera, in attesa dei loro mariti, socchiudono le tende per dare un’occhiata fuori, dei vecchi col cappello che vendono piccoli libri, rosari e profumi nei cortili delle moschee; degli ingressi di decine di migliaia di palazzi simili tra loro, degli edifici di legno trasformati in uffici comunali che un tempo, quando erano ville private, avevano pavimenti di legno che scricchiolavano a ogni passo; delle altalene fuori uso nei parchi vuoti, delle sirene dei battelli che urlano nella nebbia, delle mura bizantine ormai in rovina; delle piazze dei mercati che si svuotano la sera, dei ruderi degli antichi conventi; di decine di migliaia di palazzi con facciate incolori per la sporcizia, la ruggine, la fuliggine e la polvere, dei gabbiani immobili sotto a pioggia sulle imbarcazioni piene di cozze e alghe; della folla di uomini che pescano dal ponte di Galata, delle sale fredde delle biblioteche; dei fotografi ambulanti, dell’odore delle sale cinematografiche, una volta famose e dai soffitti dorati,dove adesso gli uomini entrano di soppiatto per guardare film porno; dei viali dove col calar del sole non si può vedere neanche una donna, della folla ammassata nelle giornate di libeccio, calde e ventilate, davanti alla porta dei bordelli controllati dal Comune; delle donne in fila davanti ai punti vendita di carne scontata, della massa di persone che affolla gli autobus; delle moschee in cui vengono continuamente rubate le lastre di piombo e le grondaie, dei cimiteri che vivono nella città come un secondo mondo e dei cipressi; dei bambini che cercano di piazzare un pacchetto di fazzoletti di carta, degli orologi sulle torri, dove non guarda nessuno; delle vittorie ottomane che i bambini leggono sui libri di scuola e delle bastonate che prendono la sera a casa; dell’attesa timorosa degli “addetti” durante i frequenti coprifuochi, imposti con la scusa di un censimento demografico, o di una caccia ai terroristi; delle lettere pubblicate in minuscoli spazi di giornali, dei lettori che si lamentano della cupola della moschea di trecento anni del quartiere, che ormai sta cedendo, e si chiedono dove sia lo stato; di tutti i gradini rotti, in parti e forme differenti, dell’uomo che vende da quarant’anni, sempre nello stesso posto, cartoline; (…) dei tramonti che colorano le finestre, a Uskudar, di un arancione quasi scarlatto, delle sirene dei battelli che suonano improvvisamente tutte insieme, una volta l’anno, per un minuto di silenzio, quando l’intera città si ferma compita per ricordare Ataturk; delle ragazze che lavorano tutta la notte per uno stipendio da fame, a ripulire stanze piene zeppe di imbastitici e macchine per cucire bottoni, dove un tempo famiglie di classe media, dottori, avvocati e insegnanti con mogli e figli la sera ascoltavano la radio; del disordine e del degrado, delle cicogne di cui tutta la città si accorge verso l’autunno, mentre passano sopra il Bosforo e le isole, in arrivo dai Balcani, dall’Europa orientale e settentrionale, per andare a sud e delle folle di uomini della mia infanzia, che tornano a casa fumandosi una sigaretta dopo aver assistito a una delle partite di calcio della nazionale, sempre pesantemente sconfitta.
Quando percepiamo a fondo questo sentimento, e i paesaggi, gli angoli, le persone che lo trasmettono, quando ci cresciamo insieme, a un certo punto quella sensazione di tristezza, simile al vapore che comincia a muoversi sottile sulle acque dello stretto nelle fredde e assolate mattine d’inverno, acquista forme sempre più concrete ed evidenti." Orhan Pamuk Istambul

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