martedì, ottobre 14, 2008

Le jour où le Mexique fut privé de tortillas...

Qualche tempo fa scriveva Anne Vigna, su Le Monde Diplomatique , che "entré en vigueur il y a quatorze ans, l'accord de libre-échange nord américain a eu des effets dévastateurs sur l'agriculture du Mexique. Les productions américaines (subventionnées) ont inondé ce pays et ruiné des millions de petits paysans". La prima volta che sono andata in Messico la stampa locale salutava con giubilo l'apertura totale del commercio con gli altri due giganti del NAFTA (USA e Canada) avvenuta nel gennaio del 2008, sostenendo che avrebbe permesso al Messico di aumentare ulteriormente la produzione di mais, grazie soprattutto alla domanda crescente per la produzione di etanolo. Cosi, mentre alla frontiera tra Messico e Stati Uniti si inaspriscono filo spinato e controlli, il commercio tra i due paesi non è mai stato così libero di circolare. O almeno sulla carta. Perchè gli steccati, anche quelli economici, sono duri a cadere del tutto, soprattutto quando c'è in gioco la difesa dell'interesse nazionale. Ed è così che la nazione che più di tutte ha incarnato l'ideale di libertà, si permette delle licenze proprio nei confronti dei propri produttori: nonostante il NAFTA, i sussidi al'agricoltura ammontano in Messico a 700 US$/produttore, ma negli Stati Uniti gli US$ sono 21.000. Cosi, mentre il potere giudiziario americano si prodigava per imporre una serie di embargo ai prodotti messicani in entrata, il Messico diventava dipendente dalla produzione di mais degli Stati Uniti , sovvenzionata e quindi paradossalmente meno costosa della produzione interna. Durante l'ultimo viaggio, solo pochi giorni fa, ho voluto quindi approfondire. Il mio unico interlocutore, per molti giorni, è stato un funzionario governativo, onesto ma per sua natura...diplomatico. Mi ha detto che si, potrebbe andare meglio, il campo messicano sta soffrendo di una crisi seria, prima di tutto perchè l'apertura del commercio con i vicini più a nord non è stata a suo tempo accompagnata da seri investimenti in formazione, miglioramento della produzione e certificazioni di qualità. Inoltre l'abbandono quasi totale dei sussidi non è stato a sua volta compensato da un accesso al credito per il settore agricolo, che si è trovato quindi solo e inevitabilmente impreparato di fronte all'apertura delle frontiere doganali. Ultimamente il governo messicano - o meglio, a discrezione, i singoli stati che compongono la federazione - ha cercato di ovviare alle debolezze dei propri produttori, inventando programmi pubblici a finanziamento del settore. Risorse comunque limitate, di difficile accesso, che sostituiscono un'attenta politica di promozione dell'efficienza con una toppa pubblica di stampo velatamente paternalista. Alcuni stati, più lungimiranti, si stanno ingegnando nella ricerca di più illuminate alternative, vedendo nelle cooperative di credito un possibile strumento di sviluppo dal basso, più efficace perchè alternativo allo Stato, più efficiente perchè basato su una logica di imprenditoriale reciprocità.
Intanto rifletto sull'ironia di una situazione in cui un kilo di mais riesce a passare la frontiera off limits di Sonora con molta più facilità - e comodità - di un qualsiasi cittadino messicano. Del resto, a cosa serve la liberalizzazione del commercio se poi non si traduce in un reale progresso di tutti gli Stati che vi partecipano? Per i motivi di cui sopra, e per alcuni altri, il NAFTA non si è tradotto per il Messico in uno strumento capace di creare posti di lavoro. Anzi, nel caso dell'agricoltura li ha addirittura distrutti e anche nel terziario, dopo l'entrata della Cina nel WTO, l'orizzonte non è roseo. Di cosa vivono dunque i Messicani? Paradossalmente, il bene d'esportazione più redditizio per il Messico è attualmente....l'uomo. Un terzo della popolazione messicana dipende dal sostegno finanziario dei parenti emigrati negli Stati Uniti, flussi di rimesse che nel 2006 hanno raggiunto i 23 miliardi di dollari. E' banale, ma finchè non si creeranno alternative credibili e durature in loco, gli Stati Uniti non potranno pensare di arginare il flusso di immigrazione clandestina che giornalmente mette alla prova le sue frontiere, e il Messico non potrà investire le risorse generate dall'immigrazione e dal commercio in azioni di sviluppo per la propria popolazione...
Gli ultimi giorni li abbiamo passati in una comunità indigena Tepehuana dello Stato di Durango, una delle tante rappresentanti dell'incredibile varietà etnica di questo meraviglioso, contraddittorio, ricchissimo paese. Niente energia elettrica, niente telefono, niente Internet, niente strade asfaltate. Soltanto distese interminabili di fiori rosa punteggiate di bambini e baracche. Un paradiso fatto però di povertà. La gente senza tutti questi "beni materiali" vive più serena? No, è semplicemente più fatalista. L'alcolismo è un problema ancora forte in queste comunità, così come l'analfabetismo e, negli ultimi anni, l'obesità. Rigoberta Menchù, pacifista guatemalteca, nobel per la pace, diceva: "c'è a chi tocca dare il proprio sangue e c'è a chi tocca dare le proprie forze; perciò, finchè possiamo, diamo forza". Il Messico è oggi considerata la 12° potenza economica al mondo, la 2° d'America Latina, uno dei maggiori produttori di petrolio, partner commerciale delle economie più avanzate. I suoi cittadini stanno già "dando forza", ma per almeno il 70% di loro sono briciole quelle che tornano indietro. Fino a quando immigrare sarà l'unica alternativa possibile, cosa può essergli chiesto di dare ancora?
Fonte foto: Messico, ottobre 2008 letiziajp ©

1 commento:

Anonimo ha detto...

Gran post.
Io, il 15-8-05, nel mio diario guatemalteco scrivevo:
"La gente muore di fame e si importa cibo anche nelle nazioni fertili e piu’ che alimentarmente autosufficienti.
I grandi proprietari terrieri lasciano le terre incolte per far aumentare i prezzi dei beni mentre i campesinos non hanno un metro quadrato da coltivare.
Una vacca americana vale piu’ di una famiglia di contadini sudamericani o africani, i sussidi all’agricoltura sono genocidi di pace secondo Fernando Solanas, gli stati industrializzati fanno produrre cibo in eccesso, lo vendono sottocosto nei mercati del sud, mettono fuori mercato i contadini che ridotti alla miseria sono costretti a vendere la loro terra alle multinazionali che le acquistano e ci mettono a pascolare le vacche che diventeranno hamburger per ingrassare ulteriormente i popoli opulenti del nord; i contadini diventano lavoratori dipendenti pagati una miseria per lavorare tutto il giorno senza protezione sindacale ne, spesso, sanitaria.
Il Trattato di Libero Commercio sottoscritto ultimamente dall’esimio presidente Oscar Berger, rischiera’ di mettere fuori mercato la piccola e media impresa, cioè la maggioranza del paese, i suoi diseredati.
Cè gente che cliccando su un mouse sposta miliardi di dollari, specula sulle valute, sui tassi di cambio e fa fallire intere economie(messico, argentina, tailandia,indonesia, russia…) , poi le famiglie vanno in banca e non trovano i risparmi di una vita, i mercati finanziari sono i nuovi conquistadores del terzo millennio, non cè ancora nessuna protezione."
Francesco