lunedì, giugno 23, 2008

Un racconto detto da un idiota, la vita...

All'inizio sembra Dilsey - la governante nera dei Compson, sudisti, in un'America dove ha ancora senso la distinzione tra nord e sud - sembra lei il punto di riferimento di questa famiglia perduta, il filo spesso che tesse tutte le loro storie (dei figli, dei padri) cercando di tenerle unite. Sembra lei, la roccia che non crolla. L'unica che salvando se stessa salva la speranza che nella vita esista ancora un senso. Ma proprio alla fine Dilsey dimentica, sceglie di dimenticare, negando di riconoscere tra le pieghe di una fotografia sgualcita, lo sguardo bellissimo e dannato della sua Caddy. Solo in quel momento l'ultima trama che teneva unita la famiglia Compson si spezza, solo allora Caddy è perduta per sempre.
Mi sono chiesta, allora non c'è salvezza? Anche Faulkner - come il dannato Macbeth shakespeariano citato nel titolo - crede davvero che la vita sia un racconto di un idiota "pieno di urlo e furore, che non significa nulla"? E invece no, esiste un punto di equilibrio, il meno evidente, il meno salvifico: è Benji, l'idiota, il figlio sordomuto, vergogna e pentimento della madre ipocondriaca dei Compson. E' lui l'acqua che redime, lui con il suo ossessivo mugolio, lui che non ha coscienza di esistere eppure trova la felicità in piccolissime certezze: la fiamma del fuoco, lo stelo di un fiore, il campo venduto per Harvard e Quentin, tutto ciò che è rotondo, la ciabatta consunta che odora di Caddy. Lui che non vive eppure è il più vivo di tutti, l'unico in grado di sopravvivere alla perdizione perché non sa di essere, in quel suo tempo che è solo lunghissimo presente. Benji racchiude il dramma di una famiglia americana di inizio '900, che come tutte le famiglie ai margini di quel terribile 1929, perse molto più che benessere economico: la fine del sogno americano del "tutto possibile", l'incredulo stupore di un impensabile fallimento.
Quindi l'Uomo, in Faulkner, si salva o si perde? In fondo l'autore stesso uscirà dalla vita distrutto dall'alcool, in cura da uno psichiatra, in preda ad attacchi di amnesia. Il messaggio è ambiguo ma forse....L'Urlo e il Furore è un libro complesso, sinfonico più che narrato, nell'intreccio musicale di quei flussi di coscienza ripresi dall'amico Joyce. Un libro che parla prima di tutto del suo autore, un uomo che come tanti ha avuto in dono una capacità durissima: la dannazione di chiedersi sempre il perché delle cose e saper leggere nell'esistenza tutte le risposte - perché se non per questo finiscono tutti cosi, schiacciati da se stessi?.
Se Faulkner, che ha dedicato tutta la sua vita a ricercare il senso della vita, riesce ad affermare che "lo scrittore deve avere fede nel destino dell'umanità", deve aver trovato, nella sua ricerca, le giuste risposte. In fondo, della vita è proprio questo che conta: fino in fondo, averla vissuta.

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