mercoledì, aprile 02, 2008

Il bisogno di chiamarsi e basta

E' in questo silenzio dei circuiti che ti sto parlando. So bene che, quando finalmente le nostre voci riusciranno ad incontrarsi sul filo, ci diremo delle frasi generiche e monche; non è per dirti qualcosa che ti sto chiamando, nè perchè creda che tu abbia da dirmi qualcosa.
Ci telefoniamo perchè solo nel chiamarci a lunga distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di un' eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s'è aperta sotto i piedi d'una coppia di esseri umani e gli abissi dell'oceano si sono spalancati a separarli mentre l'uno su una riva e l'altra sull'altra trascinati precipitosamente lontano cercavano col loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme e che si faceva sempre più flebile finchè il rombo delle onde non lo travolgeva senza speranza.
Da allora la distanza è l'ordito che regge la trama d'ogni storia d'amore come d'ogni rapporto tra viventi, la distanza che gli uccelli cercano di colmare lanciando nell'aria del mattino le arcate sottili dei loro gorgheggi, così come noi lanciando nelle nervature della terra sventagliate d'impulsi elettrici traducibili in comandi per i sistemi a relais: solo modo che resta agli esseri umani di sapere che si stanno chiamando per il bisogno di chiamarsi e basta.

Italo Calvino "Prima che tu dica pronto"

1 commento:

sergiofucchi ha detto...

E' come il bisogno di sentirsi, disentrisi chiamare, di esistere per il fatto che qualcuno riconosce che tu esisti, qui, adesso, in questo preciso momento delle nostra vita. E' importante che questo accada ora, non ieri o (chissà) domani: il tempo è quello che stiamo vivendo ora ed è ora che sento l'estrema necessità che l'altro mi veda, mi riconosca, indipendentemente dal fatto che mi accetti e mi apprezzi; che fugga da me o mi disprezzi. Se non esisto per lui, sicuramente non esisto neanche per me, perché io sono solo se l'altro mi vede, mi sente, percepisce il mi spazio fisico che interagisce, seppur per una frazione di secondo, con il suo.
Ho passato lunghi anni della mia vita nell'assoluta certezza che l'essere invisibile fosse una condizione privilegiata, un caldo bozzolo in cui il rumore della VITA arrivava molto attenuato, limitando, si, il mio vivere, ma impedendomi (forse?) di soffrire.
Ho sempre creduto di non esistere per me stesso, ma solo ed esclusivamente per quello che riuscivo a fare per gli altri, per come riuscissi ad adeguarmi ai voleri e/o ai piaceri degli altri, per come riuscissi ad adattarmi ed ad appiattirmi sull'altro.
Poi è venuto l'amore.
Inaspettato.
Imprevisto.
Ma non quello che pensvo fosse l'amore.
Non quell'amore che avevo gfià provato e che mi aveva, in fondo, deluso.
E' arrivato l'amore che non conoscevo.
L'amore che non sospettavo.
L'amore che ti uccide completamente.
L'amore che disgreaga ogno eone del tuo essere, corporeo ed incorporeo, per rimaterializzarti in un nuovo essere.
Che non sapevi di essere perché non eri mai stato.
Ed ora posso veramente dire IO SONO,
anche so di soffrire e che soffrirò ancora, ma so anche che gioirò di ogni attimo di vita che vivrò ora, che vivo ora. Il passato non mi appartiene più ed il futuro non mi appartiene ancora: l'unico spazio che mi è dato di possedere è il presente, è l'oggi, non il domani.
Quanto anni ho trascorso vivendo nell'illusione che il mio "ieri" fosse più appagante dell'oggi e nell'aspettativa che il mio "domani" mi portase quella felicità che tanti "domani" passati avevano deluso.
Solo nell'oggi sto scoprendo la ragione della mia felicità.