
Attenzione, non si parla di simulazione di bistecca, ma di carne vera e propria, nata da pulitissime tecniche di laboratorio che permettono di "coltivare in vitro cellule muscolari animali e aggiungendo sfere porose di collagene o cellulosa per dare consistenza ai tessuti cellulari, produrre alimenti simili alla carne macinata. Il passo successivo sarà assemblare diversi tipi di tessuto, così da imitare il mix di muscoli e grassi caratteristico delle carni vere". Pensate che il prodotto della sperimentazione è talmente d’attualità che gli hanno già trovato un nome: si chiama “carne artificiale” e dovrebbe salvare il mondo dall’inquinamento e dai rischi impliciti negli allevamenti industriali. Alcuni illuminati studiosi sostengono addirittura che la carne sviluppata in vitro sia più umana, in quanto “se una bistecca crescesse nell’ambiente sterile del laboratorio non si rischierebbero malattie come l’influenza aviaria”; inoltre, “potremmo fare a meno dello squallore degli allevamenti industriali, i fiumi non sarebbero contaminati dal letame e non bisognerebbe decapitare polli per preparare la cena”. Un paradiso idilliaco di bistecche da laboratorio che permetterebbe ai 6 miliardi di bocche - o quanti saremo tra qualche decennio in questo nostro affollato pianeta - di ingurgitare proteine a volontà, libere dai sensi di colpa dell’insostenibilità socio-ambientale di tanta abbondanza.
Ma…e se invece, semplicemente, riducessimo il consumo di carne, così abusata da molti, per ricondurre il nostro intelletto – e il nostro corpo – ad un rapporto più (naturale?) sostenibile con l’ambiente che ci circonda? Se per un attimo la ricerca scientifica vi aveva convinto, mi chiedo, servono libri come Frankestein per risvegliare il nostro senso dell’orrore di fronte a certe derive sperimentali?
(Liberamente tratto da Carne Artificiale, Traci Hukill, Internazionale, 28 luglio 2006)
Nessun commento:
Posta un commento