giovedì, aprile 27, 2006

TANGO, UN GIRO EXTRAÑO

“Quella raffica, il tango, quella diavoleria, gli anni affannati sfida; fatto di polvere e tempo, l’uomo dura meno della leggera melodia, che solo e’ tempo”, diceva una poesia di Borges (El tango, J.L. Borges). Musica e danza, canzone e moto del sentimento, filosofia e fenomeno sociale, il tango nasce nelle periferie di Buenos Aires sulla fine del 1880, in un momento denso di sconvolgimenti urbani. Ci sono dubbi e contraddizioni sull’origine della parola tango, ma pare ormai appurato che la sua etimologia vada ricercata nella lingua parlata dagli africani che arrivavano al Rio della Plata per essere venduti come schiavi. Ma lo stile della musica, pur richiamando a tratti ritmi africani, si fonde e si trasforma in qualcosa di intimamente “porteño”, esclusivo di Buenos Aires. La massiccia presenza italiana nel Rio de la Plata fu determinante nell’evoluzione musicale del tango, nel suo contenuto poetico nonché nel gergo cittadino che i suoi testi propagarono in tutto il mondo e che divenne sinonimo di argentinidad.
Il tango, complicata creazione collettiva, ebbe come primo teatro la strada, spesso una vera e propria iniziazione. Stupefacente fenomeno di immediata diffusione, dalle strade dei quartieri poveri delle capitali rioplatensi penetrò dai bordelli nei caffé del centro cittadino, nei locali e nei cinematografi, fino ad entrare nelle borghesissime case di famiglia.
Il tango non è mai uno, non ci sono regole, i ballerini non si parlano, né si guardano fra loro, concentrati entrambi sullo stesso punto, lontano, attenti allo spazio duttile, sempre mutevole, circoscritto dal loro abbraccio. Ed evolve, nessuno ballerà mai lo stesso tango due volte, lo dimostrano anche le recenti evoluzioni della musica, che da Buenos Aires fanno eco ad un bisogno di rinnovamento profondo. Un guardare avanti senza mai dimenticare l’origine. Del resto, è da lì che tutto viene e tutto torna.

Pubblicato anche su Popolis

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