venerdì, settembre 01, 2006

UNITED....WHAT?

Sono più di un milione e quattrocento mila i Mapuche che oggi vivono in argentina ed in Cile. Ci tengono a sottolineare che non si considerano nè argentini nè cileni, ma Mapuche, ovvero "Uomini della Terra" in Mapundung ed è davvero un'ironia della storia se da decenni si trovano a combattere - prima contro gli invasori spagnoli, poi contro i rispettivi Stati nazionali e oggi contro una multinazionale italiana - per il possesso di una terra che ritengono già propria per diritto naturale. La maggior parte delle comunità Mapuche vive infatti in territori dei quali i singoli abitanti posseggono un permesso precario di occupazione concesso dalla stato. Dei milioni di ettari originali oggi ne hanno a disposizione soltanto 250.000, oltre ad essere vittime di espropri, spostamenti forzati, episodi di povertà estrema e sopraffazzione. Cosa c'entra in tutto questo la Benetton, scimmiottata nello slogan della foto iniziale?
Si dà il fatto che la famosa azienda trevigiana sia anche uno dei più grandi proprietari di terra in Argentina, con all'attivo più di 900 mila ettari di terra a cavallo di cinque province nel sud della Patagonia. Nella provincia del Chubut la Benetton ha installato mandrie di animali da latte, da carne e da lana pura e punta anche allo sfruttamento delle risorse minerarie presenti nelle sue proprietà. Attività che costituiscono una seria minaccia, sia economica che culturale ed ambientale, per una popolazione che non riesce neanche a far riconoscere al proprio governo un legittimo diritto all'autoderterminazione.
La famiglia Benetton, presa di mira dal movimento indigeno così come dalla stampa internazionale, ha più volte sottolineato di aver ottenuto la proprietà dei territori nel 1991 da un'azienda inglese che la possedeva da decine di anni. A sua volta, l'impresa britannica ha assicurato di averla ricevuta come donazione dal governo argentino, iter leggermente controcorrente rispetto alla storia ancestrale che vede i Mapuche proprietari legittimi dei territori. Perchè, se il percorso fosse lineare, il governo argentino da chi avrebbe ricevuto il consenso per la donazione all'origine della vicenda?

Del resto, come dichiarato dal capo dell'ufficio stampa del Benetton Group, Federico Santor, "Nell'eterna lotta dei Mapuche non c'entriamo molto. E' una questione tra loro e lo stato argentino. Siamo convinti che ci tirino in mezzo esclusivamente perchè siamo una multinazionale assai nota e, quindi, accusandoci sia più semplice attirare l'attenzione internazionale. In realtà la Compagnia dà lavoro a 250 persone, di cui il 60% Mapuche". Effettivamente, anche il tentativo di Luciano Benetton di recuperare punti tramite la restituzione ai Mapuche di 7514 ettari di terra, si è rivelato un passo falso. L'Istituto nazionale di tecnologia agricola, incaricato dal Governo del Chubut di analizzare i terreni restituiti, ne ha certificato "la poca recettività produttiva", rilevando che solo il 5% del totale può essere utilizzato a fini di sussistenza (quanto basta per sfamare due famiglie...), restituendo il gentile pacchetto regalo al mittente.
Da una parte, si profila dunque la responsabilità dei governi argentini che si sono susseguiti negli anni, che hanno continuato a vendere terre ancestrali mapuche come se fossero statali, rimandando continuamente a data da destinarsi la scottante questione indigena. Dall'altro lato della barricata, costituita da quasi un milione di ettari di suolo, siede una multinazionale che rivendica la leggitimità di un diritto di proprietà su terre regolarmente acquistate. Nel mezzo, privato del diritto di occupare un posto che gli appartenga, resta immobile nelle proprie rivendicazioni il popolo Mapuche, che oltre a vedersi privato di uno spazio vitale che gli permetta di vivere con dignità la propria esistenza, è anche messo in pericolo dagli inevitabili sconvolgimenti ambientali, culturali e sociali che lo sfruttamento del territorio da parte dell'impresa trevigiana inevitabilmente comporterà.

E tra tante voci che negli ultimi anni si sono alzate in segno di protesta o di difesa dei diversi contendenti, è un interrogativo apparentemente semplice a chiarire i contorni di una diatriba che a tratti ha il sapore del paradossale. Una domanda pronunciata quasi con stupore da un rapprsentante mapuche, di fronte alla donazione di parte dei terreni da parte di Benetton: "Come si fa a donare ciò che non si dovrebbe possedere?".

Per approfondire: Peacereporter
Foto: Mapuche.nl

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