giovedì, aprile 20, 2006

Buenos Aires, 3 marzo 2005

Mi chiedevo cosa avrebbe significato Buenos Aires nella mia vita.
Sapere da sempre di appartenere ad una discendenza straniera e viandante e rendermene conto soltanto a 26 anni, come se i geni fossero una rivelazione improvvisa dell’animo.
Volti su fotografie color seppia. La tavola oggi era piena di istantanee sparse che immortalavano estranei momenti di gioventù. Una parte della tua famiglia emigra altrove ed i geni cominciano a mischiarsi, a diffondersi, le tracce si perdono sempre più lontano, si diluiscono i contorni, si affilano le fisionomie e tutto quello che resta è un certificato d’anagrafe ed un albero genealogico che traccia le proprie geometrie fino ai confini del mondo. Cosa ci spinge a ricercare le nostre origini nel passato remoto, quando tutto quello che abbiamo è il presente in cui siamo vissuti? Cos’è quest’ansia di vedersi dentro alla luce di quello che sono state le cellule che, mischiandosi e fondendosi, hanno permesso che nascessimo proprio noi, tra miliardi di combinazioni possibili?
Ancora una volta mi interrogo sulla divinità e sul senso della vita e ritorna la stessa risposta di sempre: nelle tracce che lasciamo del nostro passaggio, impercettibile e breve nella dimensione di tutto il creato. E’ una ricerca che mi ha spinto fino a Buenos Aires, cercavo mio nonno ma in realtà speravo di trovare me stessa, come ogni volta che intraprendo un viaggio e penso che sarà l’ultimo, che un giorno mi fermerò in un posto e lo sentirò finalmente mio.

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