martedì, aprile 11, 2006

1 minuto e 37 secondi

E' esattamente il tempo che uno scattante medico della mutua ci ha messo a farmi un'ecografia, dopo 3 mesi di lista d'attesa, 2 ore di coda ambulatoriale e 27€ di ticket.
Ho viaggiato in tanti posti negli ultimi quattro anni e tra le tante cose che ho visitato, ci sono anche gli ospedali latinoamericani (altra storia davvero...) e pensavo di non dovermi stupire più di nulla. Ma quando ho oltrepassato la porta di quei poliambulatori mi sono di colpo ritrovata in quella che doveva essere l'Italia ai tempi di mio nonnno: pareti di un verdino sbiadito che a tratti perdevano intonaco come veli di cipolla, luci al neon intermittenti e indicazioni scritte a lettere tremolanti con i pennarelli a spirito a punta grossa "sala ecografie", "pagare ticket prima di entrare" "vitato fumare" (scritto esattamente così).
C'è chi dice che questi siano segnali inequivocabili che il pubblico servizio deve andare in pensione, per far posto alle privatizzazioni. Certo. Nel privato l'appuntamento me lo danno dopo tre giorni, gli ambulatori odorano di petali di rosa e se becchi proprio il giorno giusto il dottore ti visita anche per due ore. Ma quando è il momento di pagare che facciamo? Privatizziamo la sanità in nome della pulizia sociale così insieme alle malattie curiamo anche, definitivamente, la piaga della povertà? E anche se non fosse un discorso di poveri, che non sono schizzinosi e si accontantano anche dei cerotti caritatevoli dell'assistenza sociale, la classe media può permetterseli gli ambulatori all'aroma di rosa?
Chissà lo Stato dove sarà tra 100 anni, come concetto aleatorio, spogliato di tutte le sue sovrastrutture. Magari cambierà anche nome, così come è ricorda troppo un participio passato immodificabile. Quando finiranno di litigarsi quello 0,1% che li divide, i due grandi, lassù, forse penseranno anche a questo.

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